In economia, il c. industriale è una forma di coalizione tra imprese, detta anche sindacato industriale o consorzio: un gruppo d’imprese dello stesso ramo di produzione si accordano per sospendere la concorrenza, impegnandosi a rispettare particolari condizioni di vendita, livelli minimi di prezzo, massimi di produzione o zone di smercio stabile. I c., nazionali o internazionali, mirano al raggiungimento dell’obiettivo (impedire la discesa dei prezzi e ridurre il costo della concorrenza), adottando uno o più degli impegni suddetti. I c. hanno sempre carattere temporaneo, ma sono rinnovabili e sono soggetti a revisioni, perché le imprese coalizzate conservano l’individualità economica e giuridica, sia quando stipulino un semplice accordo, sia quando creino un organo centrale comune per le attività del c. e per il controllo sull’osservanza dei patti. In questo secondo caso il c. è detto anche pool. L’efficacia dell’azione del c. è limitata dalla concorrenza in atto o potenziale da parte delle imprese che non ne fanno parte. Queste possono essere attive nell’area territoriale cui l’accordo si riferisce (e sono allora dette outsider), ovvero localizzate fuori di essa. I c. operano per conquistare l’adesione dei dissenzienti ed estendere la loro zona d’applicazione.
I c. industriali si diffusero largamente in Europa tra la fine del 19° sec. e l’inizio del 20°, benché fossero visti con diffidenza e ostilità. Alcuni c. riuscirono a ottenere protezione doganale e altri vantaggi dallo Stato. La Germania fu il primo paese a regolarli, sottoponendoli a controllo dello Stato per impedirne gli abusi, pur riconoscendone la liceità (1923). In altri paesi, l’intervento statale in materia si è spinto fino alla costituzione di c. obbligatori. Negli USA è prevalsa, invece, tranne la parentesi del New Deal, la legislazione antitrust (➔), che condanna tutte le coalizioni restrittive della libera concorrenza e quindi anche i cartelli. Nella seconda metà del 20° sec. il principale esempio di c. è l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (➔ OPEC). Nell’ordinamento attuale dell’Unione europea (art. 85-86 del trattato CE) i c. sono considerati incompatibili con il mercato comune; sono vietati tutti gli accordi tra imprese, nonché tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza.
Si chiama c. interbancario un accordo volontario, collusivo tra più aziende di credito per l’osservanza di un insieme di norme che regolano le operazioni di banca. L’intesa di c. interbancario, mirando a limitare la concorrenza, vincola soprattutto le condizioni più favorevoli che possono essere concesse alla clientela. In Italia fu detto, per estensione, c. bancario l’insieme delle norme e condizioni di tasso d’interesse, di provvigione, di valuta ecc., concordate tra le banche, che furono rese obbligatorie dal Comitato interministeriale per il credito e il risparmio nel 1936, allo scopo esplicito di regolamentare la concorrenza tra banche. Dal 1952 il c. bancario fu sostituito da un accordo interbancario, di natura volontaria, tra le aziende di credito, che fu più volte rinnovato, ma anche violato o disdetto, con alterne vicende fino agli anni 1980. La pratica di c. bancari collusivi è esplicitamente vietata dalla legislazione antitrust entrata in vigore sia in Italia sia nell’Unione europea.