La chiamata in garanzia costituisce un istituto del processo civile finalizzato a far partecipare al processo il garante (Garanzia. Diritto civile) di una delle parti. L’art. 106 c.p.c. prevede che ciascuna parte possa chiamare in giudizio un terzo (Intervento di terzo), dal quale pretende di essere garantita, ossia sul quale intende riversare in tutto o in parte le conseguenze pregiudizievoli dell’eventuale accoglimento della domanda proposta nei suoi confronti. La norma è chiara nel consentire la chiamata del terzo garante sia a opera della parte convenuta – la quale deve provvedere a pena di decadenza a formulare la relativa richiesta nella comparsa di risposta tempestivamente depositata, così che il giudice possa differire la prima udienza e consentire la tempestiva citazione del terzo – sia su istanza della parte attrice, avanzata alla prima udienza, allorché l’esigenza sia sorta dall’attività processuale svolta dal convenuto e, comunque, previa autorizzazione del giudice (art. 269 c.p.c.).
Le ipotesi che consentono la chiamata in garanzia sono alquanto eterogenee tra loro. In particolare, si distingue tra garanzia propria e impropria: la garanzia propria sussiste allorché la domanda principale e quella di garanzia presentano una connessione obiettiva per il titolo e il rapporto di garanzia sia espressamente previsto dalla legge (per es., garanzia per evizione o garanzia per i vizi della cosa venduta); la garanzia impropria deriva invece da un semplice collegamento negoziale tra rapporti giuridici autonomi (tipico esempio: le vendite a catena). Alla chiamata in causa del garante deve provvedere la parte mediante citazione a comparire all’udienza fissata dal giudice. La citazione notificata al terzo chiamato deve essere successivamente depositata presso la cancelleria del giudice.