Regolata nell’ordinamento italiano fin dal 1882, anno di emanazione del commercio Codice di commercio, la materia è stata riformata con il d.lgs. n. 114/1998, che ha abrogato la precedente disciplina, contenuta nella l. n. 426/1971. Oltre a stabilire che «l’attività commerciale si fonda sul principio della libertà di iniziativa economica privata ai sensi dell’art. 41 della Costituzione» (art. 2, co. 1), il suddetto decreto ha introdotto novità significative, quali: a) l’abolizione del registro degli esercenti (che prima era istituito presso le camere di c.) e della relativa iscrizione quale requisito per l’esercizio del commercio; b) la semplificazione del sistema di classificazione delle attività commerciali, prima suddivise in diverse categorie merceologiche e ora articolate soltanto in due settori, alimentare e non alimentare (art. 5); c) l’affidamento alle Regioni delle linee di programmazione relative agli insediamenti commerciali sul territorio, anche attraverso la predisposizioni di aree specifiche (art. 6 e 10); d) la liberalizzazione dell’attività commerciale dei piccoli esercizi, per la cui apertura non è più necessaria alcuna autorizzazione comunale preventiva (art. 7); e) la parziale liberalizzazione degli orari di vendita (art. 11), prima fissati dalle Regioni in calendari di apertura che stabilivano il tetto massimo di 44 ore settimanali, la chiusura totale nei giorni domenicali e festivi e per mezza giornata infrasettimanale.
Più in particolare, le diverse forme di attività sono definite sia con riguardo alle modalità della vendita, sia con riferimento alla consistenza degli esercizi commerciali (art. 4, co. 1). In base al primo criterio si distingue fra commercio all’ingrosso e commercio al dettaglio; in base al secondo si individuano gli esercizi di vicinato, le medie e grandi strutture di vendita, i centri commerciali.
La nuova disciplina riguarda anche le forme speciali di vendita al dettaglio, tra cui la vendita a favore di dipendenti da parte di enti o imprese, la vendita nelle scuole, negli ospedali o nelle strutture militari, la vendita per mezzo di apparecchi automatici, per corrispondenza e tramite televisione o altri mezzi di comunicazione e quella a domicilio (art. 4, co. 1 e artt. 16-21). Il decreto non si applica invece alle attività commerciali esercitate da alcune particolari categorie di soggetti, fra i quali farmacisti, titolari di rivendite di generi di monopolio, associazioni di produttori ortofrutticoli, produttori agricoli, rivenditori di carburanti, artigiani, pescatori e loro cooperative.
I requisiti per l’accesso all’attività sono stabiliti dall’art. 5 che distingue fra quelli di onorabilità, richiesti a tutti i soggetti, e quelli di professionalità, necessari solo per l’esercizio di un’attività commerciale relativa al settore alimentare. I requisiti per l’apertura, il trasferimento di sede e l’ampliamento di superficie di un esercizio, invece, sono fissati dagli art. 7-9.
Ulteriori norme in materia di commercio sono state previste dal d.l. n. 223/2006, convertito nella l. n. 248/2006; esse riguardano la liberalizzazione della produzione del pane, la possibilità di vendere farmaci non soggetti a prescrizione medica nei supermercati e in tutti gli esercizi commerciali (esclusi gli alimentari), purché in presenza di un laureato in farmacia, e l’abolizione delle commissioni comunali e provinciali per il rilascio della licenza necessaria all’apertura di un esercizio pubblico.
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