Il silenzio della pubblica amministrazione è un comportamento omissivo dell’amministrazione di fronte a un dovere di provvedere, di emanare un atto e di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento entro un termine prestabilito (art. 2, co. 1 e 5, 20, l. n. 241/1990). L’ordinamento distingue il silenzio in ipotesi legislativamente qualificate in senso positivo (silenzio assenso), in senso negativo (silenzio diniego e silenzio rigetto) e ipotesi non giuridicamente qualificate (silenzio inadempimento).
L’art. 20 della l. n. 241/1990 (modificato dall’art. 3 d.l. n. 35/2005) include il silenzio assenso tra gli istituti di semplificazione amministrativa. La norma stabilisce che nei procedimenti a istanza di parte, esclusi quelli disciplinati dall’art. 19 (Segnalazione certificata di inizio attività), per il rilascio di provvedimenti amministrativi, «il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda», se la stessa amministrazione non comunica all’interessato, nel termine indicato dall’art. 2, co. 2 e 3, il provvedimento di diniego ovvero se, entro 30 giorni dalla presentazione dall’istanza, non indice una conferenza di servizi.
Il silenzio assenso in alcuni casi è espressamente escluso dalla legge (per es., per procedimenti e gli atti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, nei casi in cui la legge qualifica il silenzio come rigetto ecc.). In ogni caso l’art. 20, co. 3, prevede che l’amministrazione possa, in via di autotutela annullare (Annullamento d’ufficio) o revocare (Revoca. Diritto amministrativo) l’atto implicito di assenso (art. 21 quinquies e nonies). Il silenzio diniego e il silenzio rigetto sono due ipotesi in cui le norme attribuiscono espressamente all’inerzia dell’amministrazione una qualificazione giuridica negativa. Nel primo caso, decorso inutilmente un determinato periodo di tempo, il silenzio equivale a un provvedimento di diniego. Così, per es., in materia di diritto di accesso ai documenti amministrativi (art. 25, co. 4, l. n. 241/1990). Il silenzio rigetto, invece, si ha in caso di mancata pronuncia sul ricorso gerarchico decorsi 90 giorni dalla sua presentazione, senza che l’organo adito abbia comunicato la decisione, in questo caso esso si intende respinto (art. 6 D.P.R. 1199/1971 e art. 20 l. 1034/1971).
Nei casi in cui la legge non qualifica espressamente il silenzio, ovvero nelle numerose materie in cui il silenzio assenso non trova applicazione per espressa disposizione di legge (si tratta delle materie indicate al comma 4 dell’art. 20 della l. n. 241/1990 che, per la loro rilevanza, necessitano di un’istruttoria e di una manifestazione espressa del potere: ad es., ambiente, difesa nazionale, patrimonio culturale, immigrazione, cittadinanza), il silenzio dell’amministrazione equivale a un ‘inadempimento’.
Pertanto un soggetto che abbia richiesto l’adozione di un provvedimento, decorsi inutilmente i termini entro cui avrebbe dovuto pronunciarsi la pubblica amministrazione può presentare ricorso al giudice amministrativo, anche senza previa diffida all’amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza dei termini di conclusione del procedimento. La disciplina concernente la tutela avverso il silenzio inadempimento è ora contenuta nel Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010) all’art. 31 (che prevede l’azione verso il silenzio) e all’art. 117 (che disciplina invece il regime processuale di tale azione).
Il silenzio dell’amministrazione finanziaria assume un ruolo significativo nella disciplina del processo tributario e dell’interpello. Nell’individuazione degli atti suscettibili di essere impugnati ai sensi dell’art. 19, co. 1, lett. g, d.lgs. n. 546/1992, è stata prevista la possibilità di proporre ricorso avverso il rifiuto, espresso o tacito, della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti. In tale ipotesi la disciplina del silenzio è correlata a quella dell’esercizio del diritto del contribuente a ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate al soggetto attivo dell’obbligazione tributaria. Il contribuente che vanti nei confronti dell’amministrazione finanziaria un diritto al rimborso della maggiore somma pagata non può ottenere direttamente una tutela giurisdizionale, perché per poter soddisfare il proprio diritto di credito deve presentare in via preliminare un’istanza di restituzione all’amministrazione competente. Decorso il termine di 90 giorni dalla domanda, sorge la possibilità per i soggetti interessati di ricorrere in giudizio al fine di soddisfare la propria pretesa di rimborso (né negata, né accolta dall’ufficio) entro il termine di prescrizione decennale. Il silenzio dell’amministrazione ha assunto una rilevanza anche all’interno dell’istituto dell’interpello. Ai sensi dell’art. 11 della l. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), se l’amministrazione non risponde all’istanza del contribuente entro 120 giorni si intende che l’amministrazione concordi con l’interpretazione o il comportamento prospettato dal contribuente. La conseguenza di tale disciplina è che qualsiasi atto a contenuto impositivo o sanzionatorio, emanato in difformità a tale ultima risposta, è nullo.
Discrezionalità amministrativa
Segnalazione certificata di inizio attività
La semplificazione delle regole e delle procedure amministrative di Nicoletta Rangone