Processo economico e giuridico di trasferimento di un bene, di un’attività, di un soggetto dal regime di diritto pubblico a quello di diritto privato. Nel primo caso, la privatizzazione consiste nella vendita di beni pubblici a soggetti privati; nel secondo, più difficilmente riconducibile a un unico modello, nell’affidamento a soggetti privati di funzioni pubbliche o, in generale, nella penetrazione di istituti di diritto privato nella gestione amministrativa; nel terzo nella trasformazione di un ente pubblico in persona giuridica privata.
Con privatizzazione formale si intende la trasformazione dello status giuridico di un ente, ossia il suo passaggio da una configurazione giuridica pubblicistica a una di diritto comune, in cui il principale azionista rimane lo Stato; con privatizzazione sostanziale, l’effettiva dismissione delle quote azionarie pubbliche, ovvero la cessione del controllo dalla mano pubblica a quella privata.
Privatizzazione e deregolamentazione. - Le motivazioni che hanno spinto vari paesi, soprattutto dagli anni 1980, verso un processo di privatizzazione sono diverse e speculari a quelle che giustificano l’espansione dell’area pubblica dell’economia. Quest’ultima trova infatti spiegazione nell’ambito della teoria economica nei casi del cosiddetto fallimento del mercato, in quelle situazioni cioè in cui i soggetti economici non risultano avvantaggiati dal meccanismo di mercato dello scambio e della produzione, e l’allocazione delle risorse risulta inefficiente. Tali situazioni sono riconducibili sostanzialmente alla presenza di monopoli naturali, di beni pubblici e di esternalità. L’assunzione da parte dello Stato della proprietà di determinati beni ha tuttavia posto problemi di efficienza (allocativa o gestionale) che hanno fatto mettere in dubbio la capacità di gestire centralmente determinati tipi di produzioni. L’esistenza di forti perdite gestionali delle imprese statali, le dimensioni raggiunte dai disavanzi pubblici e il crescente debito pubblico hanno quindi portato a evocare la privatizzazione come strumento idoneo a creare per lo Stato un introito di mezzi finanziari, a contrastare i fabbisogni di finanziamento e, conseguentemente, ad abbattere il livello del debito pubblico. È comunque ampiamente dibattuta la questione di quanto possano essere considerati permanenti per le finanze pubbliche gli effetti benefici derivanti da un processo di privatizzazione. Il dibattito sulle varie forme di privatizzazione va ovviamente distinto in riferimento all’offerta di beni pubblici o di beni prodotti in ambito pubblico, ma scambiati sul mercato privato, così come va distinta la privatizzazione se riferita alla cessione della gestione della produzione piuttosto che alla proprietà stessa della produzione.
Si parla invece di deregolamentazione per indicare l’orientamento di politica economica mirante alla progressiva eliminazione di norme legislative e regolamenti precedentemente imposti in diversi settori dell’economia, allo scopo di abolire tutte le forme di possibile alterazione del funzionamento del libero mercato. È comunque possibile trovare aspetti comuni alle diverse problematiche riguardanti il processo di privatizzazione. In generale, obiettivo comune è quello del miglioramento delle condizioni di efficienza del sistema economico e in tal senso la privatizzazione indica non soltanto il passaggio dalla proprietà pubblica a quella privata, ma anche la modifica dei criteri di gestione delle imprese.
Tecniche di privatizzazione. - Le tecniche utilizzate per realizzare le privatizzazione sono numerose e variano dall’offerta pubblica con asta alla vendita diretta a un gruppo di investitori istituzionali o ai manager/dipendenti. Nel caso dell’asta, le vendite vengono effettuate sulla base del prezzo che si forma in relazione alle domande d’acquisto che si raccolgono, con il vincolo del rispetto di un prezzo minimo prefissato. Ci sono varianti che prevedono: a) un’asta marginale fondata su un prezzo minimo, aperta ai soli investitori istituzionali e, contemporaneamente, un’offerta a prezzo fisso per i risparmiatori, limitata a ciò che residua dalla sottoscrizione degli investitori istituzionali; b) un’offerta a prezzo fisso per gli investitori istituzionali, con la condizione che la quota a essi offerta viene ridotta se la domanda dei risparmiatori supera un certo ammontare.
Le privatizzazioni in Europa. - La Gran Bretagna, che è stato il primo paese in Europa ad affrontare la questione delle privatizzazioni, è stato anche quello che l’ha realizzata su più larga scala. Sono state cedute ai privati imprese di grande importanza, come British Telecom, Cable & Wireless, British Petroleum, British Airways, Rolls-Royce, Jaguar e, nel settore dei pubblici servizi, le industrie di settori della gestione delle acque (Water Holding), del gas (British Gas), della gestione dei porti (Associated british ports), dell’elettricità (Regional Electricity, Power Gen., National Power). A queste vanno aggiunte altre imprese di minori dimensioni, ma spesso di notevole rilevanza, operanti nei più diversi settori, come ICI (computer), Busways e National Bus (trasporto passeggeri), General practice finance (finanza), Royal Ordinance (armi), Ferranti (elettronica), Vickers (costruzioni navali) e Rover (automobile). La privatizzazione delle imprese di pubblica utilità ha sollevato il problema dell’esercizio di una forma di controllo e regolamentazione da parte dell’autorità pubblica, che è stato risolto con lo strumento della golden share, attraverso il quale lo Stato si riserva la proprietà di una quota che gode del diritto di veto sulle scelte aziendali cruciali; la regolamentazione è stata assicurata da speciali agenzie statali e da meccanismi di controllo sui prezzi.
In Francia, tra il 1986 e il 1988, sono state privatizzate una trentina di imprese. La legge che regolamentava il processo di privatizzazione considerava prioritaria l’esigenza di sviluppare il mercato azionario con vendita del 70% del capitale ai risparmiatori, mentre ai dipendenti era riservato l’1% e agli investitori esteri il 20%. Essa considerava altresì la presenza di un ‘nocciolo duro’, costituito da un ristretto numero di azionisti che, detenendo tra il 20 e il 30% del capitale, fossero in grado di assicurare stabilità di conduzione all’azienda. I settori maggiormente interessati alle p. sono stati il petrolifero (ELF-Aquitaine), la difesa e le telecomunicazioni (Matra e Havas), i materiali elettrici (CGE), le costruzioni e le vetrerie (Saint-Gobain), la banca e gli intermediari finanziari (Paribas, Société Générale, Suez ecc.).
Le privatizzazioni nell’Europa dell’Est, oltre a essere collocate in un quadro istituzionale ed economico ben più complesso di quello occidentale, hanno avuto carattere e sviluppo molto differenziati per paese e settore di attività. Con l’eccezione della Bulgaria, tutti i paesi dell’Europa orientale hanno iniziato i processi di riforma con la privatizzazione delle imprese di piccole dimensioni, in particolare nel settore del commercio al dettaglio e dei servizi.
Le privatizzazioni in Italia. - Preceduta da alcune privatizzazioni sostanziali effettuate nel corso degli anni 1980 (gruppo Lanerossi, Alfa Romeo), una fase generale di privatizzazioni è stata avviata in Italia a partire dall’inizio degli anni 1990. Secondo la Commissione per il riassetto del patrimonio mobiliare pubblico, creata dall’ex ministro del Tesoro Guido Carli nel 1990, le principali finalità delle privatizzazioni erano: concorrere, mediante i proventi dei collocamenti, al risanamento della finanza pubblica; allargare, mediante un’offerta aggiuntiva di titoli, le dimensioni del mercato azionario nazionale; favorire l’afflusso di capitali esteri; rimuovere gli ostacoli di natura istituzionale e proprietaria che si frappongono al conseguimento di una maggiore efficienza nella gestione delle imprese pubbliche e all’estensione degli stimoli derivanti dalla concorrenza. Ma i programmi di privatizzazione sono stati caratterizzati, almeno inizialmente, soprattutto da una motivazione finanziaria, cioè quella di diminuire l’indebitamento dello Stato. In un primo tempo l’obiettivo che il governo si è posto con il d.l. n. 309/1991 (non convertito) è stato quello di trasformare gli enti pubblici economici statali in società per azioni da cedere, in parte, ai privati, proposito questo modificato dal referendum diretto ad abolire il ministero delle Partecipazioni statali e, quindi, a limitare l’intervento pubblico nell’economia unicamente alla ‘regolazione’ del mercato. Il governo è stato, quindi, costretto a insistere sulle privatizzazioni. Le procedure per la trasformazione in società per azioni degli enti di gestione delle partecipazioni statali (IRI, ENI, EFIM), degli altri enti pubblici economici, nonché delle aziende autonome statali sono state peraltro rese assai complesse. Ma la programmata privatizzazione parziale delle imprese pubbliche e la svendita di aree e di immobili dello Stato non utilizzati (entrambe demandate, per l’attuazione, a provvedimenti amministrativi di fatto non adottati) hanno avuto soprattutto lo scopo di giustificare l’iscrizione, tra le entrate del bilancio statale, di poste fittizie, destinate a fronteggiare il crescente costo degli interessi del debito pubblico. Soltanto con il successivo governo Amato, nel pieno della crisi finanziaria e monetaria dell’estate del 1992, la trasformazione in S.p.A. degli enti pubblici economici è stata esecutivamente disposta, insieme ad altre misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica. È stato soppresso e posto in liquidazione l’EFIM, irrimediabilmente sommerso dai debiti, molti dei quali contratti all’estero, ed è stato approvato il programma di riordino di IRI, ENI, IMI, BNL e INA. Nell’aprile 1993, un documento del ministro del Tesoro ha fornito l’elenco delle imprese pubbliche da privatizzare e i tempi di offerta sul mercato delle rispettive quote azionarie. Si trattava delle due maggiori banche dell’IRI, il Credito Italiano e la Banca commerciale italiana (che da sempre avevano natura di società per azioni); di due holding dell’IRI, la SME, operante nel settore alimentare, e la STET, gestore delle telecomunicazioni; dell’ENEL; dell’INA; della società Nuovo Pignone e di altre minori del settore energetico dell’ENI. Nel frattempo, il referendum popolare del maggio 1993 ha abrogato la l. n. 1589/1956, istitutiva del ministero delle Partecipazioni statali. La successiva l. n. 202/1993, di conversione con modificazioni del d.l. n. 118 del 1993, ha affidato al ministero del Tesoro l’esercizio dei diritti azionari dello Stato e ha trasformato in società per azioni anche l’Ente autonomo di gestione per il cinema, da tempo in liquidazione.
Un ulteriore dibattito politico e tecnico sulla struttura proprietaria che devono assumere le società da vendere ha preceduto, nell’autunno del 1993, la prima fase attuativa del più volte annunciato smantellamento del sistema delle partecipazioni statali: si è discusso se favorire, come in Francia, l’acquisto di quote azionarie di controllo da parte di un ‘nocciolo duro’ di azionisti privati (anche stranieri) legati tra loro da un patto sociale; ovvero, se privilegiare, con l’azionariato diffuso al massimo (sistema anglosassone delle public company), il ruolo e i poteri gestionali della dirigenza aziendale, che per ora è stata soltanto quella ex pubblica (al riguardo è stato previsto un limite del 3% per ciascun operatore all’acquisto di azioni delle società da privatizzare, il che non implica ma neppure esclude la formazione di un nocciolo duro di controllo).
Le privatizzazioni hanno avuto concreto inizio nel dicembre 1993 con l’offerta pubblica di azioni del Credito Italiano. Sono proseguite, nel 1994, con l’offerta pubblica di azioni della Banca commerciale italiana e dell’Istituto mobiliare italiano, che ha riscosso notevole successo sul mercato azionario. L’ENI ha realizzato la vendita del Nuovo Pignone, varie dismissioni nel settore energetico e della chimica e, nel 1995, la cessione del 15% del proprio capitale azionario; per altri istituti di credito di diritto pubblico è stata avviata la trasformazione in S.p.A., premessa a una successiva p. (Casse di Risparmio, Mediocredito Centrale ecc.). La trasformazione in società per azioni ha inoltre riguardato anche imprese aventi struttura di enti pubblici (ENEL, Ferrovie dello Stato). Il 1996 è stato l’anno con il maggior numero di privatizzazioni, con un introito totale di circa 9,3 miliardi di euro. Oltre alla prosecuzione di dismissioni dell’ENI e INA sono stati ceduti anche Dalmine (IRI), Italimpianti (IRI), Nuova Tirrena, Sme (terza tranche), Mac (IRI), IMI (terza tranche), Montefibre. Dal luglio 1992 al 31 dicembre 1996 il gruppo IRI ha realizzato cessioni per un valore pari a circa 11 miliardi di euro. Nello stesso periodo il gruppo ENI ha realizzato cessioni per un importo pari a 3 miliardi di euro. Nel 1997 vi sono state le cessioni di Telecom, Aeroporti di Roma, Seat e di importanti gruppi bancari come Banca di Roma e San Paolo di Torino mentre nel 1998, oltre a proseguire la cessione ENI, si cedevano le partecipazioni pubbliche nella BNL. Il 1999 si è caratterizzato con l’imponente cessione di una rilevante quota dell’ENEL e di Autostrade, che ha portato nelle casse dello Stato 24,3 miliardi di euro. Il 2000 è stato l’anno di liquidazione dell’IRI benché si sia trattato in realtà di una partita di giro, dato che ciò che era rimasto dell’IRI è confluito in Finmeccanica di proprietà del ministero dell’Economia. Negli anni successivi la spinta alla p. si è allentata, benché siano da registrare le cessioni di quote residuali di ENI, ENEL e vari istituti di credito, di quote della Cassa depositi e prestiti a importanti gruppi bancari, di alcune quote di Poste Italiane e del 100% di Enti Tabacchi e la liquidazione dell’Alitalia. Tuttavia vi sono ancora partecipazioni significative e/o comunque pari al 100%: ANAS S.p.A. (100%); Cassa depositi e prestiti (70%); Ferrovie dello Stato (100%); Poste Italiane (65%); Rai Holding (100%).
Profili giuridici del processo di privatizzazione. - Le privatizzazioni in Italia hanno interessato dapprima gli enti creditizi pubblici, poi i principali enti pubblici economici, trasformati in persone giuridiche private e successivamente dismessi.
Quanto agli enti creditizi pubblici, dapprima la l. n. 218/1990 e il d.lgs. n. 356/1990 ne hanno disposto la privatizzazione formale mediante: trasformazione o fusione, per i soli enti aventi capitale sociale suddiviso in quote; e conferimento, per gli enti aventi struttura di fondazione, che hanno dato vita a due soggetti, l’ente conferente o fondazione bancaria per le attività di rilevanza sociale, e la società per azioni bancaria, sottoposta al controllo dell’ente conferente, per l’attività propria di impresa creditizia.
Successivamente, la l. n. 474/1994 ha disciplinato la p. sostanziale degli enti conferenti, completata dalla l. 461/1998 e dal d.lgs. n. 153/1999, modificato dall’art. 11 della l. n. 448/2001, che ne hanno regolato la trasformazione in fondazioni privatistiche senza fine di lucro, natura ribadita dalla Corte costituzionale (sent. 300/2003) dopo che la modifica normativa del 2001 ne aveva avviato una sorta di ripubblicizzazione sostanziale.
In materia di privatizzazione formale degli enti pubblici economici diversi dagli enti creditizi, possono essere individuati tre interventi normativi principali, seguiti da diverse disposizioni che hanno riguardato singoli enti. Per ciò che riguarda gli interventi si ricordano il d.l. n. 333/1992 convertito dalla l. n. 359/1992 che ha disposto direttamente la p. formale di IRI, INA ed ENEL (art. 15) e, indirettamente, con successiva delibera CIPE, dell’Ente ferrovie dello Stato (art. 18) e due disposizioni di delega. In attuazione della prima disposizione, introdotta dalla l. n. 59/1997 (art. 11, co. 1, lett. b e 14 lett. b), sono stati trasformati in enti pubblici economici l’Ente tabacchi italiani (d.lgs. n. 283/1998), l’Istituto poligrafico e zecca dello Stato (d.lgs. n. 116/1999), l’Ente autonomo acquedotto pugliese (d.lgs. n. 141/1999), l’Ente autonomo esposizione universale di Roma (d.lgs. n. 304/1999). La seconda disposizione, prevista dalla l. n. 448/2001 (art. 28, successivamente modificato), non ha prodotto risultati significativi. Gli interventi normativi che hanno determinato la privatizzazione formale di singoli enti pubblici economici o aziende autonome, invece, hanno riguardato: l’Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale (l. n. 665/1996); l’ANAS, ossia l’ente nazionale per le strade (art. 7, d.l. n. 138/2002, convertito dalla l. n. 178/2002); la Cassa depositi e prestiti e l’Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero (art. 5 e 6, d.l. n. 269/2003 convertito dalla l. n. 326/2003).
La privatizzazione formale degli enti pubblici non economici è stata disciplinata da due norme di delega (art. 1, co. 32-34, l. n. 537/1993, art. 11, l. n. 59/1997). La prima è stata attuata dal d.lgs. n. 509/1994, per gli enti di previdenza e assistenza, la seconda da diversi d.lgs., che tra il 1998 e il 1999 hanno trasformato alcuni enti pubblici di carattere culturale in soggetti di diritto privato.
La privatizzazione sostanziale delle società per azioni a prevalente partecipazione pubblica (v. Impresa pubblica) è stata regolata dal d.l. n. 332/1994, convertito dalla l. n. 474/1994, la cui disciplina è stata prima specificata dall’art. 66 della l. n. 448/1999, poi modificata dall’art. 4, co. 218 e 227-231 della l. n. 350/2003. L’impianto normativo vigente prevede che le dismissioni siano effettuate con modalità trasparenti e non discriminatorie preventivamente individuate, per ciascuna società, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri o con decreto del ministro dell’Economia e delle finanze nel caso di partecipazioni non di controllo e di valore inferiore a 50 milioni di euro (art. 1).
Norme specifiche sono dedicate alla privatizzazione delle società operanti nel settore dei servizi pubblici (difesa, trasporti, telecomunicazioni, fonti di energia e altri pubblici servizi) appositamente individuati con decreto del presidente del Consiglio dei ministri o con provvedimento dell’ente pubblico partecipante, per le società controllate anche non direttamente da enti pubblici.
Per le dismissioni di queste società, da un lato, è stata prevista la previa creazione di autorità indipendenti di regolazione (art. 1 bis), dall’altro sono stati stabiliti limiti al possesso azionario da parte dei privati e all’autonomia statutaria e conferiti poteri speciali (cosiddetta golden share, art. 2) al ministro dell’Economia e delle finanze circoscritti successivamente, a seguito di procedure d’infrazione comunitarie (Corte di giustizia CE, C-58/99 e C-174/04), dalla l. 448/1999, dalla l. n. 350/2003 e dal d.m. 10 giugno 2004. Tali poteri, applicabili ai soli casi di pregiudizio di interessi vitali dello Stato, consistono nel potere di: opposizione all’acquisizione di partecipazioni azionarie superiori alla ventesima parte del capitale sociale o alla conclusione di patti che coinvolgano la stessa quota di capitale; veto su delibere strategiche (per es., scioglimento, trasferimento, fusione, scissione); nomina di un amministratore senza diritto di voto in aggiunta a quelli previsti dalla normativa civilistica.
Le S.p.A. derivanti dalla privatizzazione trovano fondamento nella legge e non in un contratto (art. 2247 c.c.), ma a esse si applica la disciplina dettata dal codice civile. Più in generale, gli enti pubblici economici esercitano in modo esclusivo o principale l’attività imprenditoriale, e si differenziano dalle S.p.A. costituite con prevalente partecipazione statale poiché queste ultime hanno a oggetto la gestione delle partecipazioni in società esercenti attività economica e non l’esercizio diretto di tale attività.*
Autorità amministrative indipendenti
Interventi pubblici nell’economia