Dichiarazione che una parte fa all’altra della verità dei fatti a essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte (art. 2730, co. 1, c.c.). È una prova costituenda e legale, la cui disciplina si rinviene sia nel codice civile (art. 2730 ss. c.c.) sia nel codice di procedura civile (art. 228 ss. c.p.c.).
Può essere resa spontaneamente o provocata in giudizio mediante interrogatorio formale. Se viene resa stragiudizialmente, deve essere documentata per iscritto e il relativo documento va prodotto in giudizio. Può essere provata attraverso testimoni solo se verte su un oggetto per cui è ammessa la prova testimoniale (2735 c.c.). La confessione in giudizio può essere provocata dalla controparte attraverso l’interpello, che deve essere dedotto per articoli separati e specifici (art. 230 c.p.c.). Il giudice istruttore, dopo aver ammesso l’interrogatorio formale, procede all’assunzione della prova nei modi e nei termini stabiliti nell’ordinanza che la ammette. Se la controparte interpellata non si presenta o non rende la dichiarazione, senza giustificato motivo, il giudice, valutato ogni altro elemento di prova, può considerare ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio (art. 232 c.p.c.). La confessione resa personalmente fa piena prova contro chi l’ha resa, salvo che non riguardi fatti relativi a diritti indisponibili. In caso di mancata risposta all’interrogatorio formale il giudice conserva potere di valutazione in ordine ai risultati probatori. Se viene resa da uno soltanto di più litisconsorti è liberamente apprezzata dal giudicante (art. 2734 c.c.). Non può essere revocata, salvo che non si provi che è stata determinata da errore di fatto o da violenza (art. 2732 c.c.).
Interrogatorio. Diritto processuale civile
Prova. Diritto processuale civile