In generale, con il termine prova si fa riferimento a quel procedimento logico che dal fatto noto ricava, per rappresentazione, l’esistenza del fatto da provare. Oltre che al risultato probatorio, non raramente tale parola viene utilizzata per indicare anche la fonte, il mezzo e l’elemento di prova.
Nel processo civile e nel diritto processuale in generale il termine prova possiede diversi significati. Più frequentemente trova impiego per indicare gli strumenti di conoscenza dei fatti storici allegati all’interno del processo e posti a fondamento della domanda di tutela giurisdizionale. In questo senso si parla comunemente di mezzi di prova distinguendo tra prove precostituite e prove costituende. Con le prime si indicano le prove formatesi fuori dal processo: per esempio, i documenti. Queste si acquisiscono al giudizio con la semplice produzione. Le prove costituende, invece, sono quelle che devono formarsi all’interno del processo e implicano perciò un’attività processuale, detta istruzione probatoria, specificamente indirizzata alla formazione del mezzo di prova: per esempio, l’ispezione o la dichiarazione testimoniale (Ispezione giudiziale. Diritto processuale civile; Testimonianza. Diritto processuale civile).
Le prove si dividono, poi, tra prove dirette e prove indirette (o rappresentative). Con le prime il giudice percepisce direttamente, ovvero con i propri sensi, il fatto allegato: si pensi all’ispezione disposta per accertare lo stato di taluni luoghi rilevante per la decisione. Nelle prove indirette, invece, tra la percezione del giudice e il fatto si interpone uno strumento rappresentativo, come il documento o la dichiarazione testimoniale. In tal caso sorge il problema di valutare l’attendibilità dello strumento. Di regola tale giudizio di attendibilità è rimesso liberamente al giudice secondo il suo prudente apprezzamento, ma in taluni casi (ad esempio, atto pubblico) è la legge stessa a determinare la piena attendibilità del mezzo di prova vincolando l’organo giudicante. In questo caso si parla di prove legali.
Con il termine prova ci si può riferire anche al procedimento tramite il quale gli strumenti di conoscenza si formano o si acquisiscono, o all’attività logica che conduce alla verifica del fatto. Un esempio è offerto dalla cosiddetta prova indiziaria o «critica», che indica il procedimento logico complesso mediante il quale dalla prova di un fatto secondario (ovvero di un fatto non appartenente alla fattispecie dedotta in giudizio) si può risalire alla prova di un fatto principale. Ciò accade frequentemente quando non è possibile acquisire direttamente la prova del fatto principale: si pensi ai cosiddetti fatti psichici, come il requisito del dolo.
Con il termine prova si suole, infine, indicare il risultato stesso dell’attività logico-conoscitiva volta a diradare l’incertezza circa l’esistenza del fatto. Si parla, così, di prova positiva o prova negativa (o contraria) a seconda che si dimostri l’esistenza o l’inesistenza del fatto.
Le regole che nel processo civile disciplinano in generale i rapporti tra giudice e parti, e tra le parti stesse riguardo alla prova dei fatti giuridici, sono le seguenti. In primo luogo il principio dispositivo a cui si ispira l’ordinamento processuale italiano impone che, salvo le ipotesi specificamente previste dalla legge, il giudice debba porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti. Queste sono onerate della prova dei fatti storici rispettivamente allegati, a eccezione dei fatti notori, cioè appartenenti alla comune esperienza e, nei giudizi aventi a oggetto diritti disponibili, dei fatti pacifici, cioè non controversi. D’altro canto, per il principio di acquisizione, una volta che un mezzo di prova sia entrato regolarmente nel processo, tale mezzo può essere utilizzato dal giudice indipendentemente dalla parte che se ne era originariamente avvalsa. Per il principio di tipicità delle prove, salvo eccezioni, le parti possono utilizzare nel processo solo i mezzi di prova previsti e disciplinati dal nostro ordinamento con la conseguenza che spetta al giudice non solo valutare la rilevanza del mezzo di prova, ovvero l’astratta idoneità dello stesso a dimostrare l’esistenza di un fatto appartenente alla fattispecie dedotta in giudizio, ma anche la sua ammissibilità, ovvero il rispetto delle regole che il nostro ordinamento impone per l’utilizzo di ciascun mezzo di prova.
Atto pubblico. Diritto processuale civile
Confessione. Diritto processuale civile
Consulenza. Diritto processuale civile
Giuramento. Diritto processuale civile
Ispezione giudiziale. Diritto processuale civile
Prova. Diritto processuale penale
Scrittura privata. Diritto processuale civile
Testimonianza. Diritto processuale civile