In materia penale le prove sono previste dal libro terzo del codice di procedura penale che disciplina i principi generali (art. 187-193), i mezzi di prova e i mezzi di ricerca della prova. L’art. 187 c.p.p. stabilisce che sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. Sono, inoltre, oggetto di prova i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali, nonché, se vi è costituzione di parte civile, i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato. L’art. 188 c.p.p. afferma, invece, che non possono essere utilizzati, neanche con il consenso della persona interessata, metodi e tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e valutare i fatti. Sono illecite, per esempio, le testimonianze sotto ipnosi o mediante l’uso delle cosiddette macchine della verità. Quando è richiesta una prova atipica (art. 189 c.p.p.), cioè non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona, rispettando il divieto di cui all’art. 188.
In ossequio al principio accusatorio che sottende il sistema processuale italiano, ai sensi dell’art. 190 c.p.p. le prove sono ammesse a richiesta di parte (principio dispositivo), salvo i casi in cui la legge stabilisce che si proceda d’ufficio. Ciò comporta che spetta alle parti ricercare le fonti, valutare la necessità del mezzo di prova a sostegno della propria tesi e chiederne al giudice l’ammissione. Quest’ultimo è tenuto ad ammettere con ordinanza le prove presentate dalle parti salvo siano vietate dalla legge, manifestamente superflue o irrilevanti. Per il principio di legalità delle prove, qualora queste siano acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, non possono essere utilizzate. L’inutilizzabilità è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (art. 191 c.p.p.). Dall’art. 192 c.p.p. si evince che il cosiddetto principio del libero convincimento del giudice va collegato al solo momento valutativo, ovvero alla fase finale del procedimento probatorio, mentre per le fasi precedenti vigono le regole stabilite direttamente dalla legge. La valutazione del giudice, in particolare, è strettamente collegata all’obbligo di motivare: il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione della sentenza dei risultati acquisiti e dei criteri adottati. In altre parole il giudice deve dar conto dell’iter logico seguito per giungere a determinate conclusioni.
Rispetto alla prova indiziaria, sempre l’art. 192 stabilisce la regola per cui l’esistenza di un fatto di reato non può essere desunta da indizi, salvo che questi siano gravi, precisi e concordanti. Infine, a norma dell’art.193 c.p.p., in virtù del principio del libero convincimento del giudice, nel processo penale non si osservano i limiti stabiliti dalle leggi civili (per esempio, l’art. 2721 c.c. che pone limiti alla prova testimoniale), eccetto quelli riguardanti lo stato di famiglia e la cittadinanza.
In riferimento alla distinzione tra prova e mezzi di prova (testimonianza, esame delle parti, confronti, ricognizioni, esperimenti giudiziali, perizia e documenti) e mezzi di ricerca di prova (ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni), lo stesso legislatore ha indicato che i primi si caratterizzano per l’attitudine a offrire al giudice risultanze probatorie direttamente utilizzabili in sede di decisione, sono, cioè, mezzi destinati a incidere in maniera risolutiva sull’esperienza del giudice; mentre i secondi non sono di per sé fonte di convincimento, ma rendono possibile acquisire cose materiali, tracce o dichiarazione dotate di attitudine probatoria.
Un’ulteriore distinzione è quella che intercorre tra prova ed elementi di prova: la prima si forma in dibattimento nel contraddittorio delle parti davanti a un giudice terzo e imparziale; i secondi, invece, sono raccolti dal pubblico ministero durante le indagini preliminari e non hanno qualità probatoria, salvo nelle ipotesi in cui vangano acquisite mediante incidente probatorio. In virtù del principio della presunzione di innocenza (Presunzione di non colpevolezza), l’onere della prova incombe sull’accusa, mentre l’imputato deve dimostrare la fondatezza della tesi che nega l’esistenza di un fatto di reato a suo carico (cosiddetta prova negativa).
Presunzione di non colpevolezza
Pubblico ministero. Diritto processuale penale
La diversa definizione del fatto nel giudizio di Cassazione e il metodo del contraddittorio di Valeria Logrillo
Le contestazioni nel processo penale: un’interpretazione della corte che valorizza il contraddittorio di Claudio Papagno
Il sistema normativo vigente di Giorgio Spangher