Con riferimento al processo civile, l’insieme degli strumenti che portano dalla sottrazione coattiva di singoli beni del debitore inadempiente, alla trasformazione di tali beni in denaro attraverso la vendita forzata, fino all’effettiva soddisfazione del creditore, mediante l’assegnazione del ricavato della vendita o del bene pignorato. A fondamento della legittimità di questo strumento di soddisfazione coattiva vi è il principio della responsabilità patrimoniale enunciato dall’art. 2740 c.c., in virtù del quale il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, sicché il creditore può farli espropriare per conseguire quanto gli è dovuto, nelle forme stabilite dal c.p.c. (art. 2900 c.c.).
La disciplina dell’espropriazione forzata è contenuta nel titolo II del c.p.c. A seconda della tipologia di beni, si hanno diverse tipologie di espropriazione forzata: mobiliare, immobiliare, di beni indivisi, presso terzi, quando suo oggetto sia un credito del debitore o di sue cose in possesso di un terzo, ovvero contro il terzo proprietario, quando suo oggetto sia un bene gravato da pegno o da ipoteca per un debito altrui oppure un bene la cui alienazione è stata revocata per frode. L’art. 483 c.p.c. consente il cumulo dei mezzi di espropriazione forzata, che però possono essere ridotti dal giudice su istanza del debitore. L’espropriazione forzata inizia con il pignoramento, che conserva la sua efficacia per un termine massimo di 90 giorni, entro i quali deve essere chiesta la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati, e si chiude con la distribuzione della somma ricavata, a norma dell’art. 509, salvo i casi in cui si procede all’assegnazione dei beni.