Romanzo (scritto nella seconda metà degli anni Trenta del XIV sec.) in prosa di G. Boccaccio. Il titolo voleva significare, secondo l'intenzione dell'autore, non molto esperto di greco, "Fatica d'amore". Il componimento è un rifacimento della celebre leggenda di Florio e Biancofiore (Filocolo è il nome che Florio assume quando si mette alla ricerca dell'amata); ma la materia è rivissuta con impegno d'arte e di cultura, arricchita di notazioni psicologiche e di episodi, ispirati a Virgilio, Lucano, Stazio, Ovidio, Seneca, Valerio Massimo.
Approfondimento di Natalino Sapegno da Boccaccio, Giovanni (Dizionario Biografico degli Italiani)
§ Filocolo. È probabilmente la prima prova in senso risolutamente narrativo dello scrittore (databile verso il 1336-1338), quella che accoglie in nuce tutti i motivi e le sollecitazioni che si svolgeranno nelle opere successive.
Il romanzo narra i contrastati amori di Florio e Biancofiore: figlio il primo del re di Spagna, discendente l'altra senza saperlo da nobile famiglia romana, i due sono educati insieme e si innamorano l'uno dell'altro fin da fanciulli; ma i parenti di Florio cercano di ostacolare il progresso di questa passione e allontanano Biancofiore vendendola a certi mercanti, che la portano in Oriente e la cedono all'ammiraglio di Alessandria; colà la raggiunge dopo molte avventure Florio, che è partito a ricercarla assumendo il falso nome di Filocolo ("fatica d'Amore", secondo la capricciosa etimologia del B.); egli penetra di soppiatto, nascosto in una cesta di rose, nella torre dove la donna è rinchiusa, ma è sorpreso con lei dalle guardie e entrambi sono dannati al rogo; senonché all'ultimo momento l'ammiraglio scopre che Florio è suo nipote, e nello stesso tempo si viene a conoscere la nobile origine di Biancofiore; i due amanti si sposano, e il libro si chiude con una generale conversione di tutti i personaggi pagani alla fede cristiana.
Questa materia, che si complica di una fitta trama di episodi secondari, deriva da una leggenda diffusissima nell'Europa medioevale e di cui le più importanti redazioni, fra quelle giunte fino a noi, sono due poemetti francesi del sec. XII, mentre quasi sicuramente dipende a sua volta dal romanzo boccaccesco il cantare trecentesco italiano che svolge lo stesso argomento. Nel proemio al suo libro il B. dichiara d'aver voluto riproporre la vicenda di Florio e Biancofiore affinché "la memoria degli amorosi giovani" e "la grande costanza de' loro animi" fosse finalmente "esaltata da' versi d'alcun poeta", mentre fino a quel momento era stata "lasciata solamente ne' fabulosi parlari degli ignoranti": ciò che bene illumina l'atteggiamento bivalente dello scrittore rispetto alla materia del racconto, per un verso attratto dal fondo sentimentale, immediatamente perspicuo della vicenda, per l'altro impegnato a riscattare questa materia con un'arte assolutamente consapevole. È il proposito che presiederà alla composizione di tutte le opere giovanili: ritrascrizione dotta di un materiale cortese decaduto a popolaresco. Vi confluiscono, da un lato, i temi romanzeschi, il gusto dell'avventuroso, del meraviglioso, dell'esotico, che tengono gran posto nella letteratura minore delle civiltà romanze, appassionatamente rivissuti nel fervore di un'esperienza giovanile; dall'altra, la tradizione dell'ars dictandi e della prosa d'arte, il linguaggio illustre della lirica, gli schemi del trattato d'amore di Andrea Cappellano, i moduli elegiaci di Arrigo da Settimello, gli apporti infine di alcune sezioni più congeniali delle prime letture preumanistiche: Ovidio, Virgilio, Seneca, Apuleio, Valerio Massimo. Tutti questi elementi si incontrano e si affollano nelle pagine del Filocolo e concorrono a determinare l'andamento dispersivo e episodico della trama, la prolissità degli svolgimenti e l'intemperanza della decorazione, l'impressione insomma di una scarsa organicità strutturale. In ciò si individua il limite, ma anche la novità del libro, che rappresenta come in sintesi tutta l'esperienza futura dello scrittore: l'acuta psicologia amorosa, il senso dell'avventura e del fasto, i temi descrittivi, idillici, il caldo lirismo autobiografico, danno vita di volta in volta a pagine singolarmente felici; l'episodio della corte amorosa di Fiammetta, che Florio incontra nei pressi di Napoli, con la lunga digressione delle tredici questioni d'amore, modellate sugli schemi della trattatistica cortese ma sempre pronte a risolvere le situazioni astratte in figure e movimenti drammatici, prepara da lontano il motivo della cornice e abbozza addirittura precise trame narrative che rifioriranno nel Decameròn. Le molteplici componenti dell'ispirazione trovano la loro relativa unità in una sorta di compromesso, sempre rinascente e sempre precario, tra un atteggiamento di virtuale realismo e le ricorrenti intrusioni di un lirismo prepotente e sovrabbondante, tra la verità del sentimento e il massiccio apparato ornamentale di derivazione libresca. Strumento di questo compromesso è la prosa poetica del Filocolo, espressione di un lirismo tramato di verità psicologica, di una psicologia intrisa di emozione lirica. Il vicino modello stilistico della Vita nova incomincia a farsi qui, almeno a tratti, più mosso e sciolto, e il ritmo si piega all'esigenza del raccontare, senza perdere quell'alone lirico che è come il segno della presenza partecipe dello scrittore.