Gli Antichi
Mesopotamia è il nome dato alla fertile pianura situata in Asia fra due grandi fiumi: il Tigri e l'Eufrate. È in questa regione che sorsero le prime città e che per la prima volta gli uomini impararono a scrivere.
Gran parte degli abitanti della Mesopotamia viveva in campagna. Le case erano fatte di mattoni crudi, ovvero di fango seccato all'aria, e generalmente avevano un cortile e un terrazzo sul tetto, dove in estate si dormiva al fresco. I contadini allevavano capre, pecore e buoi, che usavano per trainare l'aratro; inoltre avevano scavato una fittissima rete di canali per irrigare il terreno con l'acqua dei fiumi. La terra produceva orzo, frumento e datteri. Il raccolto era ricco e consentiva di sfamare anche coloro che si dedicavano ad attività diverse dall'agricoltura.
In Mesopotamia, infatti, già più di cinquemila anni fa esistevano piccole città. In queste cittadine risiedevano bottegai e artigiani: alcuni preparavano da mangiare e da bere nelle osterie; altri tessevano e coloravano i vestiti; i fabbri e i falegnami costruivano mobili e attrezzi da lavoro; gli orefici creavano gioielli; i vasai fabbricavano vasi piccoli e grandi.
Alla guida di carovane di asini e cammelli c'erano intraprendenti mercanti che portavano questi prodotti lontano dalla Mesopotamia per barattarli con metalli, pietre preziose e altri oggetti che non si trovavano nel loro paese. Al centro delle città sorgeva il palazzo, dove vivevano i re e gli scribi. I re amministravano la giustizia e conducevano gli eserciti in guerra. Gli scribi, invece, annotavano le spese e conteggiavano i tributi dei contadini per il re: per fare queste operazioni avevano inventato la scrittura. Chi nasceva in città di solito ereditava il mestiere del padre, costume diffuso anche in campagna. Le donne erano sottomesse agli uomini della famiglia, ma avevano la possibilità di amministrare da sole le proprie ricchezze.
In Mesopotamia le popolazioni erano politeiste, cioè adoravano decine di divinità diverse. Per esempio Ishtar, dea dell'amore e della guerra, Shamash, dio del Sole, o Nabu, dio della scrittura. Le cerimonie solenni generalmente si svolgevano nei templi. Alcuni di essi avevano terrazze su cui sacerdoti, denominati magi, studiavano gli astri: registravano i movimenti delle stelle e da queste pensavano di poter prevedere il futuro. I magi furono i primi a scrivere gli oroscopi. Alle preghiere e alle pozioni magiche si ricorreva spesso anche in caso di malattia: quando una persona stava male si pensava infatti che si trattasse di una punizione divina o dell'effetto di una maledizione.
Nel corso di duemila anni diversi popoli si contesero il dominio della Mesopotamia. All'inizio c'erano i Sumeri. Poi subentrarono i Babilonesi. In seguito fu la volta dei bellicosi Assiri, guerrieri spietati e abilissimi che venivano dal Nord della regione. Poi di nuovo presero il sopravvento i Babilonesi. Infine, la regione cadde sotto il dominio dei Persiani. I Persiani si distinguevano dai precedenti abitanti della Mesopotamia: parlavano una lingua molto diversa e adoravano un solo dio, che veneravano sotto forma di fuoco. I Persiani, inoltre, erano abilissimi combattenti a cavallo. Crearono un vastissimo impero nel quale costruirono strade e diffusero l'uso della moneta.
Gli scribi non usavano un alfabeto come il nostro, né scrivevano sulla carta. Utilizzavano tavolette di argilla su cui incidevano con uno stilo dei segni a forma di cuneo: per questo la loro scrittura si chiama cuneiforme.
Una delle più grandi città della Mesopotamia fu Babilonia. La città era completamente circondata da un giro di mura possenti, con torrioni e porte fortificate, decorate con mattonelle smaltate blu. I giardini pensili costruiti sulla sommità di molti palazzi sono considerati una delle sette meraviglie del mondo. Al centro della città sorgeva un enorme edificio a gradoni, alla base del quale stava il tempio del dio Marduk. Questo tipo di costruzioni, formate da più piani sovrapposti, era diffuso in tutta la Mesopotamia e si chiamava ziqqurat.
Distante alcune decine di giorni di viaggio dalla Mesopotamia si trovava il fiume Nilo. Sin da tempi molto antichi, sulle sponde di questo lunghissimo fiume fiorì una civiltà straordinaria e originale, ammirata dai popoli vicini e lontani: la civiltà egizia.
La prosperità dell'antico Egitto dipendeva dal fiume Nilo. Ogni anno, infatti, erano le inondazioni del Nilo a lasciare sui campi attorno al fiume uno strato di fango fertilissimo, che era ottimo per le coltivazioni. Il Nilo poi, attraverso una elaborata serie di canali costruiti dai contadini, forniva l'acqua per irrigare i campi; inoltre, era un fiume ricco di pesce. A bordo di barche a vela, infine, ci si poteva spostare velocemente da un capo all'altro del paese.
A capo dell'Egitto c'era un re chiamato faraone, padrone di tutte le terre e comandante supremo dell'esercito. Quando si presentava in pubblico, il faraone portava sulla testa un'imponente corona e teneva in mano uno scettro ricurvo. Gli Egizi lo consideravano una specie di dio. Quando moriva, il suo corpo veniva imbalsamato e poi seppellito con un corredo sfarzoso in gigantesche tombe di pietra: le piramidi. Come gli Egizi riuscissero a costruirle, dal momento che non avevano macchine e gru, rimane ancora un mistero. Tuttavia, poiché le piramidi venivano saccheggiate dai ladri, da un certo momento in poi i faraoni preferirono farsi seppellire dentro tombe scavate nella roccia, in luoghi inaccessibili: ma anche queste vennero profanate e depredate.
Oltre al faraone, gli Egizi veneravano una moltitudine di divinità, in onore delle quali furono eretti alcuni templi davvero colossali. Molti di questi dei erano raffigurati con l'aspetto di animali: per esempio Horus, il dio del cielo, aveva la testa di un falco, mentre Anubi, il dio dei morti, aveva la testa di uno sciacallo. Il culto religioso era guidato dai sacerdoti, i quali erano molto influenti, sia sul faraone sia sul popolo.
La maggior parte degli Egizi viveva in case costruite con mattoni di fango essiccato. Per mantenere fresco l'ambiente, le abitazioni avevano muri spessi, dipinti di bianco, con piccole finestre poste in alto. Dal momento che il clima lo consentiva, si cucinava all'aperto. Gli Egizi si cibavano soprattutto di pane, fagioli, lenticchie e cipolle. La carne compariva raramente sulla tavola; il pesce, invece, si mangiava spesso. Inoltre, si beveva (con la cannuccia!) una birra d'orzo, che però aveva un sapore diverso da quella che beviamo noi. Per fare l'olio gli Egizi non usavano le olive, ma vari tipi di semi, soprattutto quelli di sesamo. Di solito gli Egizi indossavano abiti di lino bianco pieghettato; ma i contadini al lavoro si limitavano a portare un gonnellino, che i Greci poi chiamarono perizoma. Tutti, sia maschi sia femmine, si truccavano e si profumavano, e quelli delle classe più ricche indossavano gioielli.
Per essere imbalsamati i cadaveri dovevano essere sottoposti a un'operazione laboriosa e costosa. Inservienti specializzati estraevano con un uncino il cervello dal naso e poi, dopo aver praticato un taglio sul fianco, svuotavano il cadavere di tutti i suoi organi, pulivano l'interno del corpo con spezie e vino e riempivano lo stomaco con mirra. Ricucita l'incisione, il corpo veniva immerso nel natron (carbonato di sodio) per essiccarlo e infine avvolto in bende impregnate di olio e resine.
La scrittura egizia era costituita da immagini schematiche di oggetti naturali, chiamate geroglifici. Ogni geroglifico poteva indicare sia una singola parola, sia un'idea, sia il suono di una lettera dell'alfabeto. Per questo, leggere e scrivere era un'operazione molto complicata, riservata agli scribi. Gli scribi scrivevano stando seduti per terra a gambe incrociate e utilizzando fogli ricavati dal midollo del fusto delle piante di papiro, che crescevano numerose ai bordi del Nilo.
Fra l'Egitto e la Mesopotamia si estendeva un territorio fertile, stretto fra il deserto e il mare. In questo territorio sorsero città e fiorirono civiltà fin da tempi immemorabili. Grande importanza storica ebbero quella degli Ebrei e quella dei Fenici.
Nell'antichità gli Ebrei erano divisi in dodici tribù, unite da una comune fede religiosa. A differenza di tutti i popoli che vivevano attorno a loro, gli Ebrei erano monoteisti, cioè credevano nell'esistenza di un solo dio, che chiamavano Jahvè. In onore di questo dio, il re Salomone fece costruire nella città di Gerusalemme un enorme e bellissimo tempio. Questo tempio era costruito con la pietra e ricoperto di legno pregiato; custodiva al suo interno le tavole sacre, le tavole cioè su cui Dio stesso avrebbe inciso le leggi. La religione era molto importante per gli Ebrei. Le sue norme, confluite in un libro sacro che prese il nome di Bibbia, regolavano gran parte della vita delle persone: per esempio, non si poteva mangiare carne di maiale oppure non si poteva lavorare il sabato.
Circa duemilaseicento anni fa i Babilonesi sottomisero gli Ebrei e ne deportarono un gran numero come prigionieri in Mesopotamia. Diversi anni dopo, i figli di questi prigionieri vennero liberati, ma molti di loro anziché tornare in Palestina preferirono andare a vivere come stranieri in città lontane. Questo è un momento importante dell'esodo degli ebrei chiamato diaspora.
Accanto agli Ebrei vivevano i Fenici, un popolo di artigiani. I falegnami fenici utilizzavano il legno dei cedri, altissimi alberi diffusi sulle montagne del Libano. Nei laboratori delle tintorie, inoltre, estraevano da un tipo di conchiglia chiamato murice la porpora, con cui coloravano i tessuti destinati ai potenti e alle persone più ricche. Erano, inoltre, molto abili nella lavorazione del vetro e dell'avorio. Diversamente dagli Ebrei, i Fenici erano politeisti: le loro divinità più importanti erano Astarte e Tanit. La loro lingua era invece simile a quella degli Ebrei.
Con le loro navi i Fenici percorrevano il Mediterraneo per comprare merci che rivendevano altrove, ricavando da questa fatica abbondanti guadagni. Abili navigatori, si sapevano orientare con la Stella polare e si muovevano lungo rotte che tenevano segrete. Alcune spedizioni oltrepassavano lo stretto di Gibilterra e costeggiavano l'Africa. Altre addirittura raggiungevano le isole britanniche, alla ricerca dello stagno, prezioso per la preparazione del bronzo. Inoltre, per rendere più sicuri i loro viaggi per mare, spesso i Fenici fondavano colonie nei luoghi in cui approdavano, basi di appoggio sicure dove poter sostare. I Fenici vivevano in città marinare, costruite di solito su un promontorio o su piccole isole davanti alla costa. Queste città non erano legate da un'alleanza comune. Anzi, alle volte combattevano tra loro. Fu così che i Fenici furono via via sottomessi da vicini più potenti di loro: gli Assiri, i Babilonesi e i Persiani.
In Mesopotamia e in Egitto la scrittura era una cosa complicata. Per imparare a leggere e a scrivere bisognava conoscere centinaia di segni. Per semplificare la situazione, allora, i Fenici inventarono un nuovo tipo di scrittura basato sull'alfabeto. Per ogni consonante fu ideata una lettera che ne rappresentasse il suono. In questo modo, per leggere e scrivere non era più necessario essere uno scriba: i segni da imparare, infatti, erano stati ridotti a una ventina! L'alfabeto fenicio fu presto copiato e perfezionato dai Greci, che inventarono anche le lettere per indicare le vocali.
Il pensiero, l'arte, la scienza e la letteratura del nostro mondo hanno la loro origine nella civiltà degli antichi Greci. I Greci abitavano in centinaia di città, sulle coste e sulle isole del Mar Egeo.
Nell'antica Grecia ogni città, grande o piccola, costituiva uno stato a sé, con proprie leggi e un proprio esercito. C'era Atene, c'era Sparta, c'era Tebe, e centinaia di altre città indipendenti. Queste città si combattevano spesso fra loro. Tuttavia, i Greci ‒ per lingua, religione, cultura ‒ formavano tutti assieme un unico popolo. In alcune città governavano le aristocrazie, ossia i nobili. In altre città, come Atene, c'era invece la democrazia: governavano, cioè, tutti i cittadini. Alle donne, però, neanche le democrazie permettevano di partecipare alla vita politica.
I Greci erano politeisti. Il loro dio supremo si chiamava Zeus. Molto importanti erano anche Atena, dea della sapienza, Afrodite, dea della bellezza, Dioniso, dio del vino, e Apollo, dio della musica, della medicina e dell'arte di indovinare il futuro. Agli dei furono dedicati templi grandiosi, elegantemente decorati, innalzati da abili architetti. Gli dei e gli eroi dei tempi antichi erano fonte di ispirazione per gli scultori che forgiavano statue di bronzo, per i vasai che dipingevano le anfore, per i poeti e per i musicisti. Ai Greci piaceva indagare in ogni campo del sapere: furono eccellenti matematici, grandi filosofi, medici, geografi. Ma la maggior parte dei Greci era costituita da artigiani, marinai, pescatori e soprattutto contadini. Per i contadini greci coltivare era faticoso, poiché la loro terra non era irrigata da grandi fiumi, come il Nilo. Coltivavano soprattutto il grano, la vite e l'olivo. Inoltre, dall'allevamento di pecore e capre ricavavano il latte per fare il formaggio. Le donne trascorrevano la loro esistenza in casa, in un appartamento riservato a loro e chiamato gineceo. Filavano e tessevano i vestiti per la famiglia. Per non apparire in pubblico, le donne generalmente non andavano neppure a fare la spesa. Indossavano tuniche lunghe, chiamate pepli, che le coprivano fino alle caviglie. Invece i maschi, se faceva caldo, si levavano il mantello e rimanevano con tuniche corte.
Capitava spesso che gruppi di Greci decidessero di emigrare dalle loro città. A volte si trattava di profughi, che scappavano da una guerra. Più spesso si trattava di persone che emigravano per trovare nuova terra da lavorare, perché in patria non ce n'era per tutti. Così i Greci andarono a fondare città in tutti gli angoli del Mediterraneo. Anche in Sicilia e nell'Italia meridionale, che i Greci stessi ribattezzarono Magna Grecia, ossia "Grande Grecia".
Sotto la guida di Alessandro Magno, poco più di duemilatrecento anni fa, i Greci riuscirono a conquistare il Vicino Oriente, la Mesopotamia, l'Egitto. Alessandro però morì molto giovane, a soli trentatré anni. Dopo la sua morte, le conquiste di Alessandro si sgretolarono rapidamente. Ma la civiltà greca aveva fatto in tempo a diffondersi in tutto l'Oriente, soprattutto nelle nuove città che Alessandro aveva fondato. La più importante di queste città fu Alessandria d'Egitto, costruita sul delta del Nilo. La abitavano Greci, Egizi ed Ebrei della diaspora. Nei mercati di Alessandria era possibile trovare merci provenienti dall'Africa, dall'India e da tutto il Mediterraneo. Vi sorgevano inoltre grandi templi, un'enorme biblioteca e il faro più alto del mondo.
In occasione delle feste religiose, i Greci organizzavano spesso competizioni sportive: corse di carri trainati da cavalli, corse a piedi, incontri di lotta e pugilato, gare di lancio del disco e del giavellotto. Le più famose tra queste competizioni erano quelle che si celebravano ogni quattro anni nella città di Olimpia: per questo furono chiamate Olimpiadi. Quasi mai, invece, i Greci organizzavano tornei a squadre o gare di nuoto.
Nel cuore dell'Europa risiedevano i Celti; accanto a loro vivevano popolazioni nomadi, che non trascorrevano la vita sempre nel medesimo posto e che anzi si spostavano periodicamente, per questo non costruivano città anche se di solito ripassavano sempre negli stessi luoghi.
Nelle steppe dell'Europa Orientale, a nord del territorio abitato dai Greci e nelle sconfinate pianure che si estendevano dall'Ucraina all'Asia, vivevano le tribù degli Sciti. Gli Sciti erano nomadi e vivevano dentro tende spaziose, ornate da tappeti ricamati su cui si sedevano. Si muovevano su carri o direttamente su cavalli, e sempre a cavallo, armati di arco e spada, gli Sciti combattevano con grande coraggio e spesso scotennavano i nemici. I guerrieri più importanti, quando morivano, si facevano seppellire assieme al proprio carro, ai cavalli, a vestiti, armi e gioielli in fosse sotterranee, sopra le quali venivano elevati grandi tumuli. Anche per la caccia gli Sciti si avvalevano del cavallo: con le pelli degli animali confezionavano ottime pellicce, che vendevano anche in Grecia e in Mesopotamia. Erano abituati a vestirsi con abiti pesanti, poiché nelle zone in cui vivevano il clima era assai rigido. Gli uomini di solito indossavano giubbotti di cuoio, calzoni di pelle riccamente decorati, stivali senza tacco e spesso portavano sulla testa un cappuccio a punta con paraorecchi. Questi indumenti non avevano bottoni, ma si fissavano con spille e fibbie, che abili artigiani forgiavano con pezzi di osso, col bronzo e con l'oro. Molti Sciti amavano farsi grandi tatuaggi sul corpo.
Più a Occidente vivevano i Germani (v. germaniche popolazioni), nelle grandi pianure che portavano ai mari del Nord. Si trattava di terre coperte da boschi e paludi, non facili da coltivare. Perciò la maggior parte dei Germani viveva da nomade: cacciava cervi, cinghiali e bufali, pescava nei fiumi e raccoglieva nelle foreste le bacche e le piante che vi crescevano spontaneamente. I Germani rivolgevano le loro preghiere alla natura, agli alberi e ai fiumi. Le varie tribù non parlavano la stessa lingua, ma fra loro riuscivano a capirsi. È dai loro idiomi che in seguito sono nati il tedesco, lo svedese e tante altre lingue!
I Celti abitavano un vasto territorio: le isole britanniche, tutta la regione che oggi si chiama Francia, una parte della Spagna e altre zone dell'Europa. Tuttavia, i Celti non erano riuniti in un solo regno, ma vivevano divisi in tribù; e ogni tribù eleggeva il suo re. Pochi abitavano in vere città: la maggior parte dei Celti viveva infatti in villaggi di capanne fatte di legna e pietre. Lavoravano la terra e allevavano pecore e soprattutto maiali (ma i maiali erano lasciati pascolare liberamente nei boschi, dove si nutrivano di ghiande). Nei villaggi c'erano le botteghe dei fabbri, specializzati nella lavorazione del ferro. I maschi adulti si lasciavano crescere lunghi baffi e indossavano pantaloni chiamati brache ⍄⍄. Come guerrieri, i Celti erano indisciplinati ma coraggiosi; per ricordare le loro vittorie talvolta conservavano la testa dei nemici uccisi. Nelle occasioni importanti, cantori chiamati bardi celebravano le gesta degli eroi, mentre i presenti mangiavano seduti in cerchio a terra o su pelli. I ricchi bevevano vino, fatto venire dalla Grecia. La gente più povera beveva birra, fatta con l'orzo.
I Celti credevano nell'immortalità dell'anima e adoravano molti dei, ma non amavano raffigurarli, né costruire templi in loro onore. I luoghi in cui andavano a fare i sacrifici e le preghiere erano invece sorgenti, stagni, grotte, boschi di querce. I sacrifici venivano compiuti da sacerdoti chiamati druidi. I druidi, inoltre, prevedevano il futuro, osservavano gli astri e istruivano i giovani nobili. Essi non usavano la scrittura e si tramandavano oralmente tutto il loro sapere.
E in Italia? L'Italia nell'antichità era abitata da tanti popoli diversi! Nella Pianura Padana s'erano installati i Celti, nel Meridione i Greci, in Sicilia e in Sardegna i Fenici. Nel resto della Penisola vivevano anche altri popoli, fra cui i Latini e i Sanniti. Ma il popolo più importante di tutti era quello degli Etruschi, che abitava le terre tra il fiume Po e il fiume Tevere.
Il popolo degli Etruschi viveva in belle città, costruite in cima alle colline, circondate da mura, con strade lastricate e fognature. Le case avevano al centro un piccolo cortile scoperto, chiamato atrio, su cui si affacciavano tutte le altre stanze, che avevano piccole finestre. Nelle officine, gli artigiani fondevano e lavoravano il ferro che veniva estratto nelle miniere. Molto abili erano anche gli orefici, che creavano stupendi gioielli. Inoltre, gli artigiani etruschi producevano il bucchero: una ceramica nera così lucente da sembrare metallo. Gli Etruschi impararono alcune tecniche dai Greci, dei quali adottarono varie usanze, come organizzare gare sportive, bere vino, ascoltare musica, mangiare sdraiati duranti i banchetti, adoperare l'alfabeto. Al contrario di quanto accadeva fra i Greci, tuttavia, fra gli Etruschi le donne godevano di una certa importanza, tanto che alcuni prendevano il cognome della famiglia della madre anziché di quella del padre.
Gli Etruschi credevano in una vita dopo la morte e seppellivano i defunti in tombe sotterranee: per questo nelle tombe venivano deposti anche gioielli, vasi e molti oggetti di uso quotidiano. Le tombe erano riunite tutte assieme fuori dalle mura delle città in zone chiamate necropoli, cioè "città dei morti". Le tombe delle persone più ricche erano decorate elegantemente con pitture o sculture. Gli Etruschi pensavano che a guardia dell'aldilà vigilasse un demonio, chiamato Charun; credevano anche nell'esistenza di molte altre divinità, come Tinia, signore del fulmine. Per riuscire a capire la volontà degli dei i sacerdoti chiamati àuguri guardavano il volo degli uccelli o ascoltavano i tuoni, mentre quelli chiamati arùspici esaminavano il fegato degli animali sacrificati.
Nelle montagne dell'Italia centrale e meridionale vivevano tribù che parlavano una lingua chiamata osco. Queste genti non abitavano in città, ma in modesti villaggi sparsi fra le montagne. Una parte sopravviveva lavorando duramente la terra. Un'altra parte era composta da tribù di pastori, che allevavano cavalli, buoi e soprattutto pecore per ricavarne il latte, con cui fare formaggi, e la lana, con cui le donne nelle case tessevano i vestiti. In inverno, quando sulle montagne cadeva la neve e arrivava il freddo, i pastori scendevano con le loro mandrie nelle pianure, dove a volte erano costretti a combattere con le popolazioni che vivevano in quelle zone: infatti le loro pecore brucavano nei campi che gli altri volevano coltivare. In caso di guerra, i villaggi di ogni tribù si coalizzavano. Per difendere le persone e il bestiame venivano costruiti recinti e fortificazioni di pietra sulle cime dei monti. Le tribù più potenti erano quelle dei Sanniti e dei Lucani, che erano combattenti coraggiosi e abituati alla vita dura.
Una parte della regione che oggi si chiama Lazio era abitata dai Latini, un popolo di agricoltori che parlavano il latino. Per scrivere, i Latini avevano copiato dai Greci l'alfabeto, cambiandolo solo un poco: le lettere sono per lo più le stesse che usiamo noi ancora oggi. E del resto anche la lingua italiana discende dal latino. Circa duemilaottocento anni fa, i Latini fondarono Roma, sulle rive del fiume Tevere. In seguito Roma venne dominata da re etruschi, i quali, prima di esserne cacciati, la trasformarono in una grande e potente città.
Il dominio dei Romani arrivò a estendersi dall'Oceano Atlantico al Vicino Oriente, dalle foreste dell'Europa settentrionale al deserto africano. Fu un impero così vasto che ancora oggi la sua grandezza ci impressiona
Generazione dopo generazione, i Romani sottomisero i Sanniti, gli Etruschi, poi i Fenici, i Greci, i Celti, gli Ebrei e anche gli Egizi. Alla fine, millenovecento anni fa, conquistarono persino la Mesopotamia. Si trattava di un impero enorme: solo i Germani e i Persiani riuscirono a resistere ai loro attacchi. Una delle ragioni dei successi dei Romani risiedeva nell'efficienza del loro esercito, disciplinatissimo e ben organizzato. I soldati erano riuniti in legioni, a loro volta divise in coorti e centurie comandate queste da centurioni. Alloggiavano in accampamenti, che all'occorrenza sapevano costruire in poche ore. Strade e ponti erano stati costruiti in tutto l'impero per consentire all'esercito di spostarsi rapidamente.
All'interno dell'impero regnò per centinaia di anni la pace. La vita nelle città divenne più comoda. Gli acquedotti trasportavano anche da molto lontano l'acqua alle fontane, alle terme e nelle case delle famiglie più ricche. Le terme erano edifici riscaldati con piscine di acqua fredda e calda, con palestre e saune, dove la gente andava a lavarsi, a fare ginnastica, a giocare a palla o semplicemente a incontrarsi per chiacchierare. Infatti, mentre le case dei ricchi erano confortevoli e spaziose, quelle dei poveri erano piuttosto piccole e non avevano cucina né bagno!
Inoltre, poiché i mercanti si spostavano senza difficoltà da un luogo all'altro, era diventato possibile acquistare al mercato di una qualsiasi città merci provenienti da ogni angolo dell'impero: per esempio vino fatto in Italia, olio spagnolo, avorio africano, papiro egiziano o tessuti orientali.
La legge, è vero, favoriva i ricchi; ma i ricchi si preoccupavano di assicurare a tutti il pane in caso di carestia e di organizzare frequentemente divertimenti spettacolari, chiamati giochi. Tra questi, i preferiti erano le corse con le quadrighe (cioè con i carri trainati da quattro cavalli), che si svolgevano nelle piste all'interno di edifici noti come circhi. Altri giochi molto amati erano le battute di caccia e i duelli fra combattenti professionisti, chiamati gladiatori; questi combattimenti si svolgevano negli anfiteatri. Gli anfiteatri erano una specie di stadi circolari: il più grande era il Colosseo a Roma.
Ogni cittadina dell'impero aveva nel centro una piazza, chiamata foro. Intorno al foro c'erano sempre gli edifici in cui operavano i magistrati della città, i templi e le basiliche più importanti. Le basiliche non erano chiese, come possiamo pensare noi oggi, ma edifici civili, che al loro interno, ospitavano le stanze dei tribunali e alcune sale in cui ci si poteva riunire per trattare affari commerciali. Sia i templi sia le basiliche erano circondati da colonnati e per raggiungerli bisognava salire una piccola scalinata. L'accesso ai templi non era consentito a tutti: di solito soltanto i sacerdoti potevano recarsi all'interno del tempio, mentre i fedeli sostavano fuori, accanto all'altare su cui venivano fatti i sacrifici.
Il pasto principale dei Romani era quello serale, che di solito si consumava sdraiati e non seduti come facciamo noi. Si mangiava con le mani, che per questo venivano però ben lavate. Le classi umili mangiavano pane, verdure, formaggio, olive e pesce secco, accompagnato da un po' di vino. I ricchi amavano mangiare anche la carne e i frutti di mare. A quel tempo, molti alimenti che usiamo oggi in cucina non erano ancora stati introdotti in Europa: mancavano patate, mais, pomodori, melanzane, arance, cacao, caffè, tè. Per zuccherare si usava il miele, mentre il riso, molto costoso, era utilizzato soprattutto come prodotto medicinale. Per insaporire i loro piatti i Romani li condivano con una salsa agrodolce chiamata garum.
Gli schiavi erano uomini privati della loro libertà. Come un oggetto qualsiasi, essi erano nelle mani del loro proprietario, che di solito poteva farne quel che voleva: anche percuoterli, separarli dalla famiglia, venderli ad altri, a volte persino ucciderli. Tutti i popoli dell'antichità fecero ricorso agli schiavi: ma tra i Greci e i Romani la schiavitù ebbe una diffusione davvero straordinaria.
Non tutti gli schiavi venivano trattati nella stessa maniera. Le condizioni peggiori erano riservate agli schiavi costretti a lavorare nelle miniere e a quelli che lavoravano nei campi. Per costoro la vita era ridotta a una continua fatica e di solito terminava presto. Chi si lamentava finiva in catene, o veniva obbligato a girare la macina del mulino. Molto meglio stavano gli schiavi che vivevano nelle città. Di solito le donne e i bambini erano utilizzati per i lavori di casa. Gli schiavi maschi, invece, lavoravano come segretari, portieri, cuochi, o erano impiegati nei negozi e nelle botteghe. Non sempre la vita degli schiavi era miserabile; a volte i padroni li trattavano con rispetto e affetto. In alcuni casi davano loro anche denaro che essi potevano usare come volevano. Non era raro che fra padroni e schiavi nascessero amicizie o persino storie d'amore. Inoltre capitava spesso che nel testamento i padroni liberassero alcuni schiavi. Questi schiavi liberati prendevano il nome di liberti e avevano quasi tutti gli stessi diritti delle persone libere per nascita.
Gli antichi consideravano normale che al termine di una guerra i vincitori avessero il diritto di portarsi via i vinti come schiavi. In questo modo, intere popolazioni vennero spostate dalla loro terra e trasferite altrove. Tuttavia non era questo l'unico modo in cui si poteva diventare schiavi. Infatti, alcuni diventavano schiavi perché non erano riusciti a pagare i loro debiti. Altri perché erano stati catturati dai pirati, che li avevano poi rivenduti come schiavi. Inoltre, quando nasceva un bambino indesiderato i genitori, anche se a malincuore, lo abbandonavano: e capitava quasi sempre che qualcuno lo raccogliesse, prendendoselo in casa come schiavo. Comunque, una gran parte degli schiavi nasceva già in stato di schiavitù: si trattava dei figli di quegli schiavi ai quali i padroni permettevano di crearsi una famiglia.
Gli antichi erano abituati alla schiavitù, talmente abituati da considerarla naturale. Anche molti schiavi la pensavano così, soprattutto fra quelli che erano nati schiavi. Ma non tutti erano disposti a rimanere per l'intera vita in balia del loro padrone. In molti casi, infatti, quando si presentava l'occasione buona, gli schiavi cercavano di scappare. Per questo i padroni a volte li marchiavano col fuoco, come si fa con gli animali; oppure attaccavano loro attorno al collo collari di ferro con scritto il nome del padrone. Generalmente, però, gli schiavi cercavano semplicemente di sopravvivere senza irritare il padrone.
Spartaco, un gladiatore, fece scoppiare la più grande rivolta di schiavi dell'antichità. I ribelli, da lui guidati, misero a soqquadro gran parte delle campagne dell'Italia meridionale e sconfissero più volte le legioni romane; ma dopo alcuni anni, indeboliti da divisioni interne, furono sconfitti. Spartaco morì in battaglia. Gli schiavi ribelli, che vennero catturati, furono restituiti ai loro vecchi proprietari o vennero crocifissi per punizione.
L'Impero romano durò centinaia di anni. Ma in tutto questo tempo molte cose cambiarono. La trasformazione più grande fu quella che avvenne nella religione, poiché in questo periodo un gran numero di persone si convertì al cristianesimo.
Il cristianesimo nacque in Palestina in seguito alla predicazione dell'ebreo Gesù. Egli era morto crocifisso, all'incirca duemila anni fa, per volere dei sacerdoti di Gerusalemme e con il consenso del governatore romano. Ma i suoi discepoli lo consideravano il Messia, cioè il figlio di Dio venuto a salvare gli uomini, e tre giorni dopo la sua morte proclamarono che Gesù era risorto. Essi cominciarono perciò a predicare quello che Gesù aveva detto loro. Chiesero agli uomini di convertirsi; di avere fede in Dio e di comportarsi con amore verso tutte le altre persone.
Le prime comunità di cristiani sorsero nelle città della parte orientale dell'impero. Le guidavano i vescovi, che presiedevano alle cerimonie religiose e organizzavano l'assistenza ai poveri e agli emarginati. La loro predicazione ottenne grandi risultati: i cristiani si moltiplicarono rapidamente. Tuttavia, poiché i cristiani si rifiutavano di fare sacrifici in onore degli imperatori, in alcune occasioni furono accusati di essere sudditi poco leali, condannati e sottoposti a supplizio in pubblico durante i giochi. Alcuni furono bruciati vivi, altri dati in pasto alle belve, altri torturati in vario modo fino alla morte. Finché divenne imperatore Costantino nel 306.
Da allora, i cristiani poterono liberamente organizzare il loro culto in tutto l'impero. Anzi, presto il cristianesimo divenne l'unica religione ammessa. Allora i templi dedicati agli antichi dei vennero chiusi o trasformati in chiese. Le Olimpiadi e le altre feste pagane furono soppresse. I combattimenti dei gladiatori diminuirono fino a scomparire. Il riposo domenicale diventò obbligatorio e il giorno di Pasqua fu dichiarato festa. Il divorzio fu vietato. E fu anche vietato vendere uno schiavo che avesse famiglia separandolo dai genitori, dalla moglie o dai figli.
L'avvento del cristianesimo non fu l'unico cambiamento che si verificò negli ultimi secoli di vita dell'Impero Romano. Per esempio, era mutato anche l'abbigliamento: anziché tuniche sbracciate e mantelli, si indossavano pantaloni e vesti a maniche lunghe. Per scrivere e leggere non si ricorreva più ai rotoli di papiro, ma a veri e propri libri fatti con fogli di pergamena (una specie di carta ottenuta essiccando pelli di animali). Poiché alcune regioni furono spopolate dalle epidemie, nelle campagne era diventato difficile trovare piantagioni con schiavi alla catena: al loro posto c'erano i coloni. I coloni erano contadini liberi, cioè non schiavi, ma costretti a lavorare la terra e a consegnare una parte considerevole del loro raccolto al proprietario terriero. Infine, l'imperatore si era trasferito con la sua corte in una nuova città, in Oriente, chiamata Costantinopoli, mentre Roma andava perdendo il suo ruolo di capitale del mondo.
Intanto, ai confini dell'impero la situazione si era fatta delicata. In Mesopotamia i cavalieri persiani avevano travolto gli avamposti romani. Alla frontiera europea, invece, alcune tribù di Germani, alla ricerca di terre da lavorare, chiedevano di poter immigrare all'interno dell'impero. I Germani erano molto attratti dalla vita ricca e comoda delle città e di tanto in tanto organizzavano brevi incursioni per saccheggiare qualche cittadina vicina alla frontiera. I mercanti avevano paura di percorrere strade divenute ormai pericolose e alcune merci diventarono più difficili da trovare. Per difendere le città, allora, gli imperatori cominciarono ad arruolare nell'esercito come mercenarie alcune tribù degli stessi Germani. Per pagarle, però, erano costretti a imporre tasse molto elevate, tanto che in alcune zone cominciarono a mancare i soldi per far funzionare terme e acquedotti.
Greci e Romani non si avventurarono quasi mai al di là della Mesopotamia. Chi lo faceva andava incontro a civiltà antiche e affascinanti: quella indiana, e poi, ancora più lontana, quella cinese.
Al tempo in cui i Romani conquistavano il Mediterraneo, un'antica civiltà si estendeva dalle montagne del Panjab alle ampie vallate dell'Indo e del Gange. La gente viveva per lo più in villaggi di campagna, gravata da pesanti tasse. Moltissimi erano i contadini, che disponevano di attrezzi di ferro per lavorare la terra. Per avere campi coltivabili, però, i contadini erano costretti a bruciare larghi tratti di foresta. Fra le piante che coltivavano c'era anche il cotone, da cui ricavavano il tessuto per le loro vesti. In India, da centinaia di anni la popolazione era divisa in caste, ovvero gruppi sociali rigidamente divisi. In base alla nascita, ognuno apparteneva a una casta, poteva svolgere solo determinati lavori e non poteva sposarsi con una persona di una casta diversa. Quindi, le persone della stessa casta cercavano di rimanere unite, e spesso abitavano nello stesso villaggio. La casta più prestigiosa era quella dei sacerdoti, chiamati brahmani. I brahmani si occupavano della celebrazione dei sacrifici del fuoco e dei culti delle varie divinità, le più importanti delle quali si chiamavano Shiva e Visnù. Grande seguito fra la gente avevano anche i santoni che si rifugiavano solitari nelle foreste, facendo pratiche yoga, esercizi per la respirazione e la meditazione. Grande diffusione, inoltre, aveva il pensiero di Buddha.
Più a Oriente ancora, isolato dalle montagne, dai deserti e dal mare, si estendeva l'Impero cinese: un paese immenso e vario, in cui però si utilizzavano ovunque gli stessi pesi, le stesse misure, la stessa scrittura. Nel Nord, nelle pianure attorno al Fiume Giallo, i contadini coltivavano il miglio; più a Sud, invece, dove scorreva il Fiume Azzurro, si coltivava il riso, usato anche per ricavarne una specie di vino. In agricoltura, per ottenere migliori risultati, i Cinesi avevano inventato tecniche e attrezzi che ancora oggi si usano, come per esempio la carriola. Ma spesso rovinose alluvioni devastavano le campagne sommergendo villaggi e coltivazioni. I contadini cinesi allevavano maiali e polli. Esistevano poi veri e propri allevamenti di bachi: questi insetti, infatti, prima di trasformarsi in farfalla producono la seta. I Cinesi furono per molto tempo i soli a utilizzare questo prodotto. Molti Cinesi comunque abitavano nelle città, le cui case spesso avevano le pareti interne decorate con maioliche e quelle esterne di legno laccato e verniciato. Per curarsi dalle malattie gran parte della popolazione ricorreva all'agopuntura: infilando aghi in punti particolari del corpo, i medici riuscivano a lenire il dolore dei pazienti.
La maggioranza dei Cinesi praticava il culto degli antenati e cercava di osservare la condotta di vita prescritta nei suoi libri dal sapiente Confucio, vissuto circa duemilacinquecento anni fa.
I Cinesi inizialmente scrivevano sulla seta o sul bambù; poi inventarono la carta, molti secoli prima che fosse nota in Europa. La loro scrittura, ancora oggi in uso, non era costituita da lettere, né da disegni, bensì da ideogrammi, cioè da centinaia di segni che indicavano ciascuno non un suono, ma un'idea o una parola. Gli ideogrammi si potevano poi combinare fra loro dando vita a ulteriori ideogrammi.
Due sono i modi attraverso i quali possiamo conoscere le vicende degli uomini antichi: o studiando i resti delle loro città, delle loro tombe, dei loro oggetti, come fanno gli archeologi, oppure leggendo direttamente quello che gli antichi stessi hanno lasciato scritto, in libri e iscrizioni.
Gli archeologi sono coloro che studiano le civiltà antiche attraverso gli scavi, che conducono in terreni dove ritengono di trovare sepolti resti di case, di tombe, di templi antichi. Ogni oggetto rinvenuto è catalogato come reperto e analizzato per capire quanto è antico, a cosa serviva e a chi apparteneva. Basti pensare che dai reperti provenienti dagli scavi delle latrine di un accampamento romano, in Inghilterra, gli archeologi hanno potuto scoprire che cosa mangiavano i legionari. Oppure dalle analisi delle ossa delle mummie hanno capito quali erano le malattie più diffuse fra gli antichi Egizi. Nelle vetrine dei musei si possono vedere migliaia di questi reperti. Alcuni di essi sembrano brutti o insignificanti, ma ci aiutano comunque a capire il tipo di vita dei nostri antenati. È come se in futuro venissero esposti come reperti le lattine delle bibite o i telefoni cellulari.
Gli scavi degli archeologi a volte riguardano pochi metri di terreno, ma altre volte si estendono a intere città e sono talmente vasti che se vogliamo visitarli conviene trovare qualche esperto che ci faccia da guida.
In Italia gli scavi archeologici più famosi sono quelli di Pompei e di Ercolano, due città romane che sono rimaste sepolte sotto un'eruzione del vulcano Vesuvio. Sono quasi trecento anni che gli archeologi vi scavano, ma le sorprese non sembrano mai finire. Esistono anche scavi sottomarini, riguardanti generalmente i relitti di navi antiche: ma quelli non si possono visitare!
Nell'antichità i libri venivano scritti a mano. E bisognava ricopiarli di continuo, perché col tempo si rovinavano. Per questo motivo solo una parte dei libri scritti dagli antichi è sopravvissuta: si tratta di quei libri trascritti generazione dopo generazione, ininterrottamente fino all'invenzione della stampa. Durante il Medioevo in Europa questo lavoro venne svolto dai monaci (v. monachesimo). Se cerchiamo bene, in alcuni musei e in alcune biblioteche possiamo vedere esposti alcuni di questi libri scritti a mano.
In qualche caso fortunato è stato possibile ritrovare intatti papiri antichi, vecchi migliaia di anni. È quello che è successo per esempio ad Ahmed e Mohammed, due pastorelli beduini della regione del Mar Morto che cinquant'anni fa, inseguendo una pecora, si infilarono in una delle grotte situate nella località chiamata Qumran trovandovi centinaia di rotoli di papiro racchiusi dentro vasi sigillati.
In altri casi gli scavi archeologici ci hanno consentito di ritrovare le tavolette d'argilla usate dagli scribi dell'antica Mesopotamia.
Gli antichi non si limitavano a scrivere libri, ma incidevano anche scritte su pietre. Queste scritte si chiamano iscrizioni. Ce ne sono di tutti i tipi: preghiere, commemorazioni di vittorie militari, testi funerari, liste di persone, leggi. Poiché sono state incise sulla pietra, molte iscrizioni sono riuscite a resistere al tempo meglio dei papiri, anche se alcune sono andate disperse. Capita spesso, però, che gli archeologi nei loro scavi ne ritrovino qualcuna ridotta in pezzi. Purtroppo, poi, alcune iscrizioni sono scritte in lingue che non capiamo o in alfabeti sconosciuti e quindi, finché qualche studioso non le decifrerà, ne ignoreremo il significato. Ma non bisogna disperare: fino a circa due secoli fa, per esempio, i geroglifici e le scritture cuneiformi erano per noi incomprensibili.
"Il protagonista di questo racconto, narrato da qualcuno mentre gli altri restano in ascolto trattenendo il respiro, assomiglia a noi, ma non del tutto, perché sembra che non abbia paura della morte come me e te. E gli altri si fanno coraggio ascoltando la sua storia e lo chiamano eroe perché grazie a lui imparano che la morte non regna dove c'è un grande cuore". Il suo nome è Ulisse e da molto tempo, da più di dieci anni, ha lasciato la sua casa per combattere a Troia una guerra lunga e terribile. Ora la guerra è finita, ma l'avventura di Ulisse è solo all'inizio. Gli dei sono arrabbiati perché l'eroe, in più occasioni, ha osato sfidarli. La loro vendetta è spietata: il ritorno di Ulisse alla sua isola sarà lungo, difficile e pieno di pericoli.
Nel suo viaggio verso casa l'eroe si trova a superare prove impossibili per qualsiasi altro essere umano. Una spaventosa tempesta spinge Ulisse e il suo equipaggio su di un'isola sconosciuta. I naufraghi, stanchi e affamati, pensano di trovare ospitalità, ma in quel luogo vivono i Ciclopi, esseri giganteschi, orribili e sanguinari che amano divorare carne umana. Fra loro, Polifemo è il più feroce e spietato. "Malgrado l'unico occhio infisso in mezzo alla fronte, il gigante scopre subito Ulisse e i suoi amici che, senza saperlo, hanno violato il suo antro. Polifemo è tornato dai pascoli ove ha condotto le greggi. Anziché concedere ospitalità agli sconosciuti, subito ne afferra un paio, gli spacca la testa sulla roccia e… ne fa un sol boccone!".
Ulisse e i suoi uomini sono disperati. Cercano una via di fuga, ma Polifemo ha bloccato l'ingresso della grotta con un'enorme pietra. L'eroe deve trovare una soluzione per sconfiggere il ciclope e per salvare la vita a sé e agli uomini del suo equipaggio. Ulisse sa che la forza non basta, Polifemo è troppo potente. Deve usare il coraggio e l'astuzia. Deve uscire allo scoperto e affrontare il ciclope a viso aperto, deve sedurlo con le parole per farlo cadere nel tranello che sta preparando. Ulisse offre a Polifemo un otre di vino. Il gigante beve, tutto d'un fiato, e si addormenta. Senza perdere tempo gli uomini accecano il gigante con un palo affilato, ma non sono ancora salvi. Il masso continua a chiudere l'ingresso della grotta.
Ma Polifemo deve pur condurre il gregge a pascolare.
"Sebbene cieco, Polifemo è riuscito a togliere il masso dall'ingresso. Fa uscire i montoni, ma resta a bloccare l'uscita e tasta le pecore con le mani".
Cerca in tutti i modi di impedire la fuga degli uomini, ma non si accorge che Ulisse e i compagni sono legati al ventre dei capi più grossi. Ora essi sono liberi e possono riprendere il viaggio. Gli uomini antichi sono forti, valorosi, abituati a sfidare il destino e accanto a loro, qualche volta, si trovano altri insospettabili eroi.
Davide è un ragazzo gracile, un pastorello. Il suo coraggio, però, è grande e, per difendere il gregge, egli non esita ad affrontare orsi e leoni. I suoi fratelli sono in guerra e un giorno, portando loro del cibo, Davide si accorge che i soldati sono ansiosi e impauriti. Nell'esercito nemico si è arruolato un nuovo soldato. Si chiama Golia: è forte, agile, arrogante e spaventosamente alto, quasi tre metri. Nessuno osa sfidarlo, neppure i soldati più valorosi. Solo Davide, armato di una semplice fionda, decide di affrontare il gigante. I due si trovano uno di fronte all'altro: l'enorme guerriero, con la sua grande lancia e il suo pesante scudo, e il piccolo pastorello con la fionda. Davide mette un sasso nella sua fionda e, facendola roteare velocemente, lo lancia verso il gigante. Golia non ha neppure il tempo di reagire e, colpito in fronte, cade a terra tramortito. La guerra è vinta; il nemico, battuto, si ritira. Davide viene acclamato come un eroe dai soldati e riceve tutti gli onori dal re e dal popolo.
Che fatica, però, diventare eroi! Bisogna sempre essere all'altezza delle situazioni, e dimostrare a tutti di poter compiere grandi imprese. Lo sa bene Perseo, un giovane al quale Zeus, il re degli dei, affida il compito di uccidere Medusa, la più terribile delle Gorgoni. Le Gorgoni sono donne bellissime, ma sono spietate, vendicative e hanno negli occhi uno straordinario potere. Per questo Atena ha donato a Perseo uno scudo lucente. ""Dovrò vedere Medusa soltanto riflessa, altrimenti sarei trasformato in pietra" spiega l'eroe mostrandolo a tutti". Altri doni si aggiungono: un falcetto affilatissimo, un elmo che rende invisibili, un paio di sandali alati e una sacca in cui chiudere il capo mozzato di Medusa. Perseo è pronto per la sua avventura. Si infila l'elmo fatato e scompare. "Tutti tacciono, guardano le nuvole, fuori dalle terrazze, come se si aspettassero di sapere subito come andrà a finire, di udire l'urlo della Gorgone o il grido di vittoria dell'eroe".
Perseo conquista il suo trofeo, ma quello è solo l'inizio del suo cammino. Dovrà faticare a lungo prima di essere riconosciuto da tutti come eroe. E il cammino degli eroi è sempre pieno di ostacoli e di situazioni sconvolgenti: prevede perfino di sfidare la morte, ultima dea. Gilgamesh è sovrano di un regno grande e fertile, ma non è felice: vuole diventare immortale, vuole essere un dio fra gli dei. Con l'inseparabile Enkidu affronta il toro celeste, uccide il gigante Chumbaba, ma il segreto dell'immortalità non gli viene rivelato.
Gilgamesh si rivolge, allora, a un vecchio saggio. Utnapistim, questo è il suo nome, narra la storia del Diluvio e rivela che in fondo al mare cresce una pianta magica che dona l'eterna giovinezza. Subito Gilgamesh si getta nel profondo dell'Oceano e, trovata la pianta, la porta in superficie. L'eroe pensa già di dividerla con i suoi concittadini quando un serpente si avvicina e gli sottrae l'oggetto portentoso.
Gilgamesh è turbato, vuole stare solo coi suoi pensieri, gridare la sua disperazione. Poi torna a Uruk, la sua città, dove terminerà i suoi giorni, avendo ormai compreso che l'immortalità appartiene agli dei e non spetta agli uomini. Gli uomini
lo sanno, ma spesso avvertono una voglia irrefrenabile che li spinge a sfidare ogni limite.
Teseo ha lottato contro le Amazzoni e i Centauri, ha vinto i Giganti e le belve feroci, ma ora lo aspetta la sfida più difficile: uccidere il Minotauro. Il Minotauro è "un mostro spaventoso, un essere con corpo d'uomo e testa di toro che si nutre di carne umana". Minosse lo ha rinchiuso nel labirinto e, per placare la sua collera, deve fare sacrifici umani. Ogni anno il re offre in dono quattordici giovinetti, perché il Minotauro se ne possa nutrire. Teseo sa che dal labirinto non si può uscire, che gli innumerevoli corridoi sono costruiti per far perdere l'orientamento a chiunque vi si avventuri. Ma Teseo è fortunato: Arianna, figlia di Minosse, è innamorata di lui e non vuole perderlo. Così offre a Teseo un gomitolo di filo di cui reggerà un capo.
Grazie ad Arianna Teseo ha salva la vita. Qualche volta, dunque, anche gli eroi hanno bisogno d'aiuto. A volte intervengono gli esseri umani, altre volte gli dei vengono in soccorso. Ahmed si è perso nel deserto e vaga tra le dune. La notte è fonda; il silenzio avvolge ogni cosa. Il suo piede urta qualcosa sotto la sabbia. Ahmed comincia a scavare e porta alla luce quella che sembra un'enorme statua. In realtà si tratta di Gonn-Ben-Allah, un'antica divinità ormai dimenticata. Ahmed aiuta il dio a riacquistare l'antico splendore e Gonn, in cambio, lo conduce in un luogo e in un tempo straordinari: quello in cui Icaro si librò in volo. "Mentre il sole sorgeva, un uomo e suo figlio, vestiti di piume dorate conficcate nella cera lucente, stavano in piedi sull'orlo di una scogliera".
Sono Dedalo e Icaro. Il volo li inebria. Dedalo ha avvertito il figlio di non alzarsi troppo, di non avvicinarsi al Sole. Icaro adora volare, si sente felice! Non vuole scendere!
"Ma il sole di mezzogiorno riscaldò le sue ali fino a fondere la cera in lacrime dorate. E il ragazzo cadde dal cielo come una pietra. "Prendilo!", esclamò Ahmed. "Non posso." "Sei un dio, puoi fare qualsiasi cosa." "E lui è un mortale che deve provare ogni cosa." E colui che aveva volato alto con ali dorate si schiantò sulla superficie del mare e affondò tra anelli scintillanti, e il mare era muto, mentre il Sole moriva e tornava la Luna. "Che cosa terribile", esclamò Ahmed. "Ma che coraggio", disse Gonn. "Non c'è mai fallimento nel tentare. Non tentare è la morte più grande"". (Anna Antoniazzi)
La Bibbia: testi scelti dall'Antico e dal Nuovo Testamento, Edizioni Nord-Sud, Zurigo 2001 [Ill.]
Ray Bradbury, Ahmed e le macchine dell'oblio, Mondadori, Milano 2001 [Ill.]
Teresa Buongiorno, Olympos, Salani, Firenze 1995
Giovanni Caselli, Renzo Rossi, I viaggi di Ulisse, Giunti, Firenze 1993 [Ill.]
Michael Gibson, Dei e eroi della mitologia greca, Mondadori, Milano 1987 [Ill.]
Cecco Mariniello, Roberto Piumini, Medusa e il Minotauro, Giunti, Firenze 1994 [Ill.]
Geraldine McCaughrean, Teseo e il Minotauro e altre storie, Mondadori, Milano 1998 [Ill.]
Florence Noiville, La mitologia greca, Motta Junior, Milano 2001
Daniela e Gianni Padoan, Odissea, Mondadori, Milano 1996 [Ill.]
Angela Ragusa, Gilgamesh: il mondo favoloso dei Sumeri, La Biblioteca, Firenze 2001 [Ill.]
Silvia Romani, Odissea, De Agostini Ragazzi, Novara 1997 [Ill.]
Fernando Savater, Cattivi e maledetti, Laterza Ragazzi, Bari 1996
Jaqueline Vallon, La storia di Davide e Golia, Edizioni EL, Trieste 1998 [Ill.]