Nel diritto processuale, vizio dell’atto che impedisce al giudice di esaminare la richiesta avanzata da una parte del processo non presentando essa i requisiti stabiliti dalla legge.
Con riferimento al processo civile, il codice disciplina singole ipotesi di inammissibilità solo in materia di impugnazione (art. 331, 342, 348 bis, 365, 360 bis e 398 c.p.c.); tuttavia, il vigente ordinamento prevede valutazioni di ammissibilità della domanda che condizionano l’espletamento di giudizi speciali anche in primo grado, come avviene, per esempio, nell'azione di classe disciplinata dal sesto comma dell'art. 140 bis del codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005) e, sia pure con le peculiarità che sono proprie del caso, nel giudizio di non manifesta infondatezza (e rilevanza) operato dal giudice a quo in sede di rimessione alla Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale. In questi ultimi casi, l’inammissibilità della domanda giudiziale proposta in primo grado dipende da una prima valutazione di merito circa la fondatezza della stessa e, pertanto, è funzionale al principio di economia processuale, nella misura in cui tende a evitare l’inutile dispendio di attività giudiziaria.
Parzialmente diversa è invece la valutazione delle norme che regolano l’istituto con particolare riferimento al giudizio di impugnazione, dal momento che in tali casi l’inammissibilità è una sanzione posta a carico della parte per un vizio intrinseco dell’atto di impugnazione, ossia per una difformità dell’atto rispetto al modello legale previsto. Prima delle più recenti riforme (d.l. n. 83/2012 conv. in l. n. 143/2012; l. n. 69/2009) tale tratto accomunava tutte le ipotesi di inammissibilità dell’impugnazione e consentiva di fare risalire a esso la ratio dell’istituto; tale operazione ermeneutica era e resta necessaria al fine di effettuare le opportune estensioni analogiche: così, è pacificamente considerata inammissibile – pur in difetto di norma espressa – l’impugnazione proposta oltre i termini, ovvero quella avanzata dalla parte non soccombente. Tuttavia, va rilevato come i nuovi artt. 348 bis e 360 bis, introdotti dalle riforme del 2009 e del 2012, disciplinino in verità, dietro l'etichetta dell'inammissibilità, ipotesi di infondatezza dell'impugnazione. La circostanza è evidente e risulta testualmente dalle disposizioni di legge di nuovo conio: a mente dell'art. 360 bis, ad esempio, «Il ricorso è inammissibile ... quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo».
Come per l’improcedibilità, anche in caso di inammissibilità dell’impugnazione è solo con la relativa dichiarazione, e non prima, che il potere di impugnare si consuma, precludendone l’ulteriore esercizio avverso la medesima sentenza anche quando i termini non siano ancora scaduti (art. 387 c.p.c.).
Impugnazioni. Diritto processuale civile
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