Patologia degenerativa del sistema nervoso caratterizzata da un quadro di demenza presenile o senile, descritta per la prima volta nel 1909 dallo psichiatra tedesco Alois Alzheimer (Marktbreit 1864 - Breslavia 1915).
I sintomi principali sono rappresentati dalla perdita progressiva della memoria (amnesia) e da deficit cognitivi delle funzioni del linguaggio (afasia), dei movimenti finalizzati (aprassia) e del riconoscimento di oggetti e persone (agnosia). Dal punto di vista neuropatologico, a livello macroscopico, il m. di A. è caratterizzato da un quadro tipico di atrofia cerebrale, dovuto alla perdita neuronale, soprattutto a carico della corteccia cerebrale temporo-parietale. Si verifica una rarefazione accentuata a carico dei neuroni la cui attività è mediata dall'acetilcolina. A livello microscopico, sono state ampiamente descritte placche senili (depositi della proteina chiamata β-amiloide) e degenerazioni neurofibrillari (esili neurofilamenti a elica). A partire dagli anni Ottanta del 20° sec., il problema eziopatogenetico del m. di A. è stato affrontato con metodicità nell'ambito della patologia classica (neuroistopatologia), della biologia molecolare e della genetica, anche sulla spinta di un certo allarme per il numero crescente di soggetti a rischio, a causa dell'allungamento della speranza di vita e dal concomitante calo delle nascite: nel 2006 si stima che una percentuale compresa tra il 25 e il 50% dei soggetti di 85 anni sia affetta da questa malattia. È noto che la maggior parte delle forme di m. di A. non sono ereditarie e a eziopatogenesi non chiara, tuttavia nel corso degli ultimi decenni sono state individuate alcune forme familiari, dovute a precise alterazioni genetiche.
Attualmente per la diagnosi in vivo ci si avvale, oltre che dell'anamnesi clinica e dei test psicologici, delle metodiche di neuroimmagine (la tomografia assiale computerizzata, TAC, e la tomografia a emissione di positroni, PET), in grado di evidenziare l'atrofia cerebrale. Gli approcci terapeutici si sono orientati nell'ultimo decennio sui farmaci inibitori dell'enzima colinesterasi (che scinde l'acetilcolina), con risultati interessanti. Sono in corso sperimentazioni per lo sviluppo di vaccini in grado di indurre il sistema immunitario dei pazienti con m. di A. a riconoscere e reagire contro i depositi cerebrali di β-amiloide.
Abstract di approfondimento da Alzheimer, morbo di di Pietro Calissano (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
Il morbo di Alzheimer è una malattia che colpisce il cervello provocando un progressivo declino delle funzioni intellettuali. La diagnosi della malattia si basa, inizialmente, sulla valutazione di sintomi neuropsicologici e comportamentali legati a disturbi della memoria, del linguaggio e della percezione visuo-spaziale. I primissimi sintomi si manifestano di solito a carico di quel tipo di memoria denominata ‘breve’, per contrapporla all’altro tipo detto ‘di lunga durata’. La prima riguarda i ricordi collegati con gli avvenimenti degli ultimi minuti o di poche ore; se questi ricordi rivestono connotati di particolare importanza o interesse, essi vengono fissati tramite meccanismi biochimici distinti da quelli che presiedono alla memoria breve e possono anche permanere per tutta la vita.
Si distinguono per comodità tre fasi nel decorso della malattia. Nel primo stadio il soggetto manifesta i primi sintomi di perdita della memoria breve, con difficoltà a ricordare anche parole di uso quotidiano e addirittura il significato dei numeri; egli presenta minore attenzione per il lavoro o gli hobby che un tempo lo interessavano fortemente. In un secondo stadio il paziente incomincia a dimostrare difficoltà nel riconoscere i parenti e gli amici, si aggira senza scopi in casa o nei suoi dintorni e spesso deve essere riaccompagnato alla propria abitazione, tanto che i parenti sono costretti a lasciargli in tasca le indicazioni relative al suo indirizzo. Si manifestano i primi cambiamenti comportamentali accompagnati da ansietà, insonnia e mutamenti di personalità. Nell’ultimo stadio il paziente non riconosce più nessuno, non comprende le parole e ha difficoltà a vestirsi, a mangiare e deglutire nonché a controllare la minzione e la defecazione. La morte sopraggiunge per l’ulteriore aggravarsi di questi sintomi.
Le alterazioni anatomopatologiche che caratterizzano questa malattia furono per la prima volta descritte dal neuropatologo Alois Alzheimer, che nel 1906 analizzò il cervello di una paziente di 55 anni deceduta dopo diversi anni in seguito a sintomi di carattere progressivo contraddistinti da perdita della memoria, crisi sporadiche di paranoia e deficit cognitivi di varia natura. Il neuropatologo, osservando dopo la morte sezioni del cervello della paziente, notò la presenza diffusa di due tipi di alterazioni che oggi vengono denominate, rispettivamente, ‘placche senili’ e neurofibrillary tangles. La comunità scientifica non pose molta attenzione alle osservazioni comunicate da Alzheimer per la relativa rarità di questa affezione. La vita media era notevolmente più breve rispetto a quella attuale e i sintomi della malattia venivano classificati e confusi con la vasta categoria di quelli che caratterizzano l’invecchiamento cerebrale. Ma con l’aumento del numero degli individui anziani dovuto alle terapie più moderne (vaccinazioni di massa, impiego degli antibiotici, profilassi dietetiche, ecc.) si osservò che il numero di pazienti deceduti con i sintomi e i corrispettivi danni cerebrali descritti da Alzheimer era in continuo aumento.