L’art. 24 della l. 218/1995, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, stabilisce che i diritti della personalità, tra i quali rientra il diritto al nome (Nome civile), sono regolati in primo luogo dalla legge nazionale del soggetto, salvo che tali diritti derivino da un rapporto di famiglia, come, ad esempio, il diritto al nome acquistato a seguito di matrimonio, di rapporto di filiazione o di adozione. In tal caso, la norma prevede l’applicazione della legge che regola il rapporto di famiglia (Filiazione. Diritto internazionale privato, Adozione. Diritto internazionale privato).
La citata disposizione normativa opera in via residuale, in quanto l’Italia è parte alla Convenzione di Monaco del 5 settembre 1980 sulla legge applicabile ai cognomi e ai nomi. Al fine di determinare il nome e il cognome della persona, essa prevede l’applicabilità della legge nazionale del soggetto (art. 1) anche nel caso in cui si tratti della legge nazionale di uno Stato non contraente (art. 2). Sulla base della teoria dell’assorbimento, è stabilita l’applicabilità della medesima legge nazionale anche nel caso in cui il diritto al nome della persona vada determinato come conseguenza di una questione preliminare, quale l’accertamento di un rapporto di famiglia. Nel caso in cui il soggetto muti la cittadinanza originaria, l’art. 1, par. 2, della suddetta Convenzione prevede l’applicabilità della legge dello Stato della nuova nazionalità. Nulla invece dispone la Convenzione nell’ipotesi di pluricittadinanza. Un’indicazione al riguardo è emersa dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale, sulla base del principio di non discriminazione, ha stabilito che non vi è preminenza della legge del foro nell’attribuzione del nome, ma si deve tenere conto anche della cittadinanza dell’altro Stato membro.