Secondo quanto disposto dall’art. 46 della Costituzione «ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». Nel dibattito giuridico e politico che si è svolto nel tempo nel nostro Paese, questo coinvolgimento dei lavoratori nei processi decisionali endoaziendali è stato considerato come espressione di democrazia industriale, ossia come metodo da utilizzare sia per far pesare gli interessi dei lavoratori nei processi decisionali dell’impresa, sia per regolare i conflitti tra questi. Nel nostro sistema di relazioni industriali il principio partecipativo è stato perseguito attraverso l’introduzione nei contratti collettivi di discipline che garantiscono al sindacato diritti di informazione e consultazione da parte dei datori di lavoro in funzione di controllo dell’esercizio dei poteri di questi ultimi. In sostanza, alle rappresentanze dei lavoratori viene attribuito, per via contrattuale, il diritto ad essere informate in via preventiva delle decisioni che l’imprenditore intende assumere su alcune materie. Questo tipo di partecipazione è stata “istituzionalizzata” anche attraverso il c.d. “Protocollo IRI” del 1984, seguito da accordi tra organizzazioni sindacali e altri gruppi a partecipazione statale (Efim, Eni, Gepi, Elettrolux Zanussi, Telecom Italia). Mentre, dal punto di vista della regolamentazione legislativa, la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese è ad oggi disciplinata “solo” (ad eccezione delle disposizioni contenute all’interno delle norme in materia di licenziamenti collettivi e di trasferimento d’azienda) dal decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 25, emanato in attuazione della dir. CE n. 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori.
Lavoro. Diritto costituzionale