In senso ampio e generico, preparazione culinaria, dolce o salata, a base di farina di grano (o anche di granturco, castagne ecc.), impastata con acqua o latte, lievito, uova, e olio o sugna o burro, con l’aggiunta di ingredienti vari e cotta in forno, generalmente in forme rotonde e basse. Più specificamente, nella locuzione pizza napoletana, specialità gastronomica di Napoli (Campania), costituita da un impasto di farina di grano tenero, lievito di birra, acqua e sale, spianato in forma tondeggiante con cornicione rialzato e farcitura centrale di pomodori pelati e/o pomodorini freschi e olio extravergine di oliva, cui possono aggiungersi altri ingredienti, lavorato manualmente e cotto in forno a legna dopo doppia lievitazione.
CENNI STORICI
Se l’uso di cuocere su pietre roventi un impasto di acqua e farina può essere ritenuto coevo già al dominio del fuoco (Paleolitico inferiore), provengono dal Vicino Oriente Antico le prime attestazioni (ca. 5000 a.C.) di processi di lievitazione mediante l'utilizzo di frammenti di pasta inacidita, o di lievito di birra, identificato in campioni ritrovati in tombe egizie. Evidenze archeologiche successive documentano il consumo generalizzato di focacce circolari cotte sotto la cenere dei focolari in tutto il mondo antico mediterraneo (lat. pinsa, picia, gr. pétea) e mediorientale (aramaico pita, arabo shawurama), oltre che nel doppio continente americano (spagn. tortilla). Le prime attestazioni del termine piza nel latino medievale provengono tutte dal settore centro-meridionale della Penisola italica (Napoli, 966; Gaeta, 997), additando questa come l’area principale di sperimentazioni di prodotti gastronomici che si presentano però estremamente diversificati, comprendendo cibi cerimoniali quali le pizze pasquali, torte salate e rustiche, focacce e schiacciate. È nell’area del Napoletano che, a partire dalla fine del Seicento, vengono aperti i primi laboratori in cui si impastano e si cuociono dischi di pasta appiattita di forma tondeggiante conditi con lardo, ciccioli, scaglie di formaggio di pecora, pepe e basilico, mentre a Napoli dalla metà del Settecento una ventina di pizzerie appare già dotata anche di tavoli per la consumazione in loco. Con il contributo fondamentale del pomodoro introdotto dalle Americhe, dall’Ottocento il piatto assume in quest’area il carattere popolare e urbano universalmente attribuito alla moderna pizza napoletana, le cui prime descrizioni provengono da fonti d’eccezione quali A. Dumas (1835), E. Rocco (1858) e S. Di Giacomo (1893). Conosciuta anche nel resto d’Italia dopo la Seconda guerra mondiale ed esportata dalla comunità di immigrati italiani a New York, dove la prima pizzeria aprì nel 1905, da lì la pizza napoletana si è diffusa in tutto il mondo.
DIRITTO
In seguito alla proposta della Regione Campania, la pizza napoletana verace è stata riconosciuta nel 2004 come prodotto agroalimentare tradizionale campano dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Il regolamento UE n. 97/2010 della Commissione Europea riportato nella Gazzetta Ufficiale del 5 febbraio 2010 ha certificato la denominazione Pizza Napoletana STG nel registro delle specialità tradizionali garantite, mentre nel 2017 il Comitato Intergovernativo per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco ha riconosciuto L’arte tradizionale dei pizzaiuoli napoletani parte del Patrimonio culturale dell’umanità.