Genere di poesia caratterizzata da un’idealizzazione della vita dei pastori e in genere della vita campestre.
Quali che siano le origini della poesia p. (con termine greco bucolica), folcloristiche o connesse al culto religioso, essa si presenta nella letteratura greca in forme già artisticamente evolute e con una tradizione già costituita, rappresentata da motivi fissi e uniformità di tipi e situazioni: tali sono l’amore, felice o contrastato, la semplicità della vita rustica, lo stretto contatto con la natura. Spunti di poesia p. si trovano in Omero, e gli antichi considerano Stesicoro, cantore di Dafni, come suo inventore; tuttavia solo in età ellenistica, specie in Sicilia, essa assume come caratteristica l’idealizzazione della vita campestre considerata come garante della felicità umana. Letterariamente nasce con Teocrito, che la portò a perfezione, sicché l’arte teocritea divenne il modello della poesia bucolica. Ricordiamo inoltre Mosco, Bione e il romanzo pastorale di Longo sofista. Virgilio la trasportò a Roma esprimendovi naturalmente la propria sensibilità e immettendovi sensi allegorici e riferimenti storici; il nome dato alle sue bucoliche (Eclogae «poesie scelte») entrò nell’uso a designare tali componimenti.
Il genere fu poi molto coltivato per tutto il corso dell’antichità latina (Calpurnio, Settimio Sereno, Nemesiano, Sidonio Apollinare, Teodulo), dalla quale passò senza soluzione di continuità nella letteratura latina medievale. Dante, Petrarca, Boccaccio si servono anche di questa forma. Le prime letterature volgari idealizzano la vita campestre in forme letterarie diverse dall’egloga (nella pastorella, nella serranilla ecc.); questa riappare naturalmente con il risorgere umanistico di tutti i generi letterari classici: d’altra parte essa si prestava bene a quel rifugio nell’idillico che è tra i caratteri più tipici del Rinascimento. Dopo la metà del 15° sec., numerosi sono i poeti bucolici a Ferrara (ricordiamo tra essi soprattutto T.V. Strozzi); presto la poesia p. subirà lo stesso processo di tutto l’umanesimo dal latino al volgare, e si avranno egloghe in volgare (M.M. Boiardo); il gusto si diffonde oltralpe (I. López de Mendoza, G. de la Vega, E. Spenser ecc.). Prova della fortuna del genere può essere considerata la letteratura rusticana, così viva nel Quattro-Cinquecento che, con la sua satira del villano, è più o meno consapevole parodia dell’eccessiva idealizzazione pastorale. A Napoli intanto due grandi poeti, G. Pontano e I. Sannazzaro, fanno propria anche questa forma; e il secondo dà, nella sua Arcadia, il capolavoro del genere, che è anche alle origini del romanzo moderno, il quale nasce appunto in Spagna, in Francia, in Inghilterra (J. de Montemayor, H. d’Urfé, P. Sidney ecc.) come pastorale. D’altra parte, l’egloga dialogata, già nel 15° sec. recitata nei festini di corte, è insieme con la sacra rappresentazione alle origini anche del teatro moderno: via via scenicamente sempre più articolata, darà vita alla fine del 16° sec. all’Aminta di T. Tasso e al Pastor fido di B. Guarini.
Nei primi decenni del 17° sec. la gran moda si estinse; la forma letteraria non risorse nemmeno nell’età arcadica, che pure era tanto impregnata di spirito idillico. Il suo ricordo restò come testimonianza della letteratura più lontana dalla vita: per es., Lettera semiseria di Grisostomo di G. Berchet (1816) si chiude con una frecciata a Menalca e a Melibeo, i pastori tipici della tradizione bucolica.
Analogamente, si dice musica p. un genere di musica ispirata alla campagna e alla vita dei pastori e dei contadini. Esempi se ne trovano fin nel Trecento (cacce arsnovistiche), nel Cinquecento (canzoni francesi, frottole, villanelle, madrigali, Lieder), nelle favole p. di O. Rinuccini. In campo teatrale, dopo gli esempi di G.-B. Lulli, importanti manifestazioni furono dovute specialmente ai maestri della scuola francese. Nel 18° sec. singole pagine o intere composizioni di tal genere si trovano nell’oratorio (G.F. Händel) e nella musica strumentale da A. Vivaldi a J.S. Bach, a F.J. Haydn, a L. van Beethoven.