Organo monocratico (cioè composto da un unico magistrato) a cui era affidata la giurisdizione civile e penale, oltre ad attività secondarie di natura amministrativa e di volontaria giurisdizione, fino all’intervento del d. legisl. n. 51/1998, che ne ha soppresso la figura, sostituendolo con il tribunale in composizione monocratica, definito anche giudice unico di primo grado. A far data dal 2 giugno 1999, per tutti i processi civili, e dal 2 gennaio 2000, per tutti i processi penali, tale giudice decide in composizione monocratica, escluse alcune ipotesi in cui è tassativamente prevista la composizione collegiale.
Nei primi secoli della Repubblica, il nome (da *praeitor, der. di praeire «andare avanti», propr. «chi precede [l’esercito]») designava i supremi magistrati, comandanti la legione, poi chiamati consoli. Secondo la tradizione, solo nel 367 a.C. fu creato un pretore per esercitare la giurisdizione in Roma (praetor urbanus). Accanto al pretore urbano ne fu creato, nel 243 a.C., un altro, cui spettava l’esercizio della giurisdizione fra cittadini e peregrini di diverse nazionalità, col nome di praetor peregrinus. Successivamente i pretore furono portati a 4, con la creazione delle province di Sicilia e Sardegna; poi a 6, fino a salire a 8 con la riforma sillana, e a subire ulteriori variazioni sotto Cesare e Augusto.
L’elezione dei pretori si faceva nei comizi centuriati, le condizioni di eleggibilità essendo state fissate dalla lex Villia annalis sul cursus honorum (si giungeva alla pretura dopo l’edilità e il tribunato della plebe). Il pretore durava in carica un anno; alla scadenza l’imperium poteva essergli prorogato come propraetor. Esso era sottoposto all’intercessio da parte del console (maior potestas), dei tribuni della plebe, e anche dei colleghi. L’assegnazione delle rispettive competenze (provinciae praetoriae) si faceva in senato, in base alle esigenze del momento, e per estrazione a sorte. La funzione di gran lunga più importante del p., urbano e peregrino, era l’esercizio della giurisdizione. Unico limite all’attività del pretore era l’obbligo, postogli da una lex Cornelia del 67 a.C., di attenersi alle prescrizioni emanate nel proprio editto perpetuo. Analogo era il modus procedendi che, ancor prima della lex Aebutia, vigeva presso il praetor peregrinus, attraverso l’opera del quale ottenne il proprio riconoscimento lo ius gentium.
Sotto il principato si moltiplicarono le funzioni giudiziarie del pretore e sorsero anche numerosi casi di giurisdizione volontaria (pretura tutelare, fedecommissionaria ecc.), ma fu tolto alla pretura il governo delle province, e fu sempre più ridotta l’efficienza delle quaestiones criminali, attraverso gli interventi del principe. L’elezione si faceva dal senato, su raccomandazione (commendatio) dell’imperatore.