tribunato Nel diritto pubblico romano, denominazione di varie magistrature, le cui funzioni erano in origine in connessione con le tribù (➔). I tribuni della plebe erano i rappresentanti della parte plebea della popolazione, deputati a tutelare gli interessi sia di questa, intesa nel suo complesso, sia dei singoli plebei, contro i soprusi dei magistrati patrizi. L’origine del t. è puramente rivoluzionaria e si colloca al di fuori dell’ordinamento cittadino: si trattava di un mero strumento di pressione politica, con cui la plebe faceva valere le proprie ragioni, anche in forma violenta, di fronte alle prevaricazioni dei patrizi. Già intorno alla metà del 5° sec. a.C., tuttavia, i tribuni ottennero un primo importante riconoscimento nell’ambito dell’intera civitas: la loro persona, infatti, fu definita «sacrosanta» e colui che avesse osato violarla avrebbe potuto essere messo a morte da chiunque, impunemente; da allora in poi poterono esercitare legalmente lo ius auxilii a sostegno degli interessi plebei; si videro formalmente riconosciuti il diritto di convocare le assemblee della plebe (➔ concilio) e il potere di veto (intercessio), grazie al quale potevano impedire che qualsiasi organo della repubblica compisse atti tali da nuocere alla plebs; ebbero anche la summa coercendi potestas, con cui potevano processare e punire severamente i magistrati che si fossero opposti alle loro iniziative. Con il passare del tempo il numero dei tribuni aumentò gradualmente, fino a raggiungere le 10 unità; ma ciò non favorì le ragioni della plebe, dal momento che i tribuni godevano anche di un diritto di veto vicendevole, cosicché l’iniziativa dell’uno poteva essere sempre paralizzata dall’intercessio dell’altro, per ipotesi corrotto e dissuaso dai patrizi ad appoggiare riforme pregiudizievoli per questi ultimi. Le leggi Licinie Sestie del 367 a.C. posero comunque le premesse per la definitiva integrazione della plebe, o per lo meno di una parte di essa, nella classe dirigente romana, che da allora fu detta nobilitas patrizio-plebea: la conseguenza fu la progressiva perdita, da parte del t., del carattere rivoluzionario delle sue funzioni, tra le quali venne addirittura ricompreso, a partire dalla metà del 3° sec., il diritto di convocare il senato. Un rigurgito rivoluzionario del t. si ebbe dapprima con i Gracchi (133-123 a.C.), poi con Saturnino e Glaucia (inizio del 1° sec. a.C.), allorché si cercò di porre l’istituto al centro della dinamica costituzionale romana, al fine di attuare quella riforma dell’assetto dello Stato la cui urgenza era ormai avvertita da tutti, e non solo dai populares. In seguito la magistratura visse alterne vicende: dopo il tentativo di Silla di neutralizzarla definitivamente, seppe dare nuova prova di vitalità, per lo più in epoca cesariana, finché perse ogni rilevanza nel principato augusteo, che attribuì all’imperatore (23 a.C.) tutti i poteri dei tribuni (tribunicia potestas).
Nella Roma medievale, magistratura cittadina creata il 20 maggio 1344 a Roma, dopo una sommossa capeggiata da Cola di Rienzo. I tribuni, dopo la legalizzazione papale del loro governo (1347), assunsero il nome di rectores urbis et districtus.
Nella Repubblica romana del 1798, sorta sotto la protezione delle armi francesi, una delle due assemblee nelle quali risiedeva, a norma della Costituzione del 18 marzo, il potere legislativo. Corrispondeva alla Camera dei Cinquecento della Costituzione francese del 1795 ed era chiamata anche consiglio dei Giuniori in contrapposizione al Senato (consiglio degli Anziani).
In Francia, istituzione politica creata nel 1799 da Napoleone per la discussione dei progetti di legge e l’esercizio di un potere moderatore sugli altri organi costituzionali; fu soppresso nel 1807.