(ebr. Shōmĕrōn) Regione dell’antica Palestina, al centro dell’altopiano a O del Giordano. Confina a N con la piana di Esdrelon, a S con la Giudea e a O con la piana costiera, e rientra quasi interamente nella Cisgiordania (il resto fa parte di Israele). È un ripiano ondulato con conche e gibbosità e valli svasate nella parte occidentale ma profondamente incassate nel versante rivolto al Giordano. Prevalgono piogge invernali, abbastanza copiose. Le conche sono coltivate a olivi, alberi da frutta, cereali. Nelle zone meno umide si allevano ovini. La S. è attraversata dalla strada che collega Gerusalemme alla piana di Esdrelon. Il centro principale è Nablus. La popolazione è in prevalenza musulmana. Annessa dalla Giordania in seguito al conflitto arabo-israeliano del 1948-49, la maggior parte della S. ha successivamente seguito le sorti della Cisgiordania.
Edificata (ca. 880 a.C.) dal re d’Israele Omri e dotata in seguito dai re Acab e Geroboamo II di imponenti fortificazioni, la città di Samaria, capitale della S. al tempo del regno d’Israele, sostenne a lungo guerre da parte degli Aramei di Damasco e degli Assiri: per domare una sua ribellione il re assiro Salmanassar V l’assediò e il figlio Sargon II la espugnò nel 721 a.C. Gli abitanti furono in parte deportati e sostituiti dagli Assiri con altri gruppi etnici, che diedero origine all’ibrida popolazione dei Samaritani. La S. passò quindi dal controllo assiro a quello persiano, e fu conquistata da Alessandro Magno che vi dedusse una colonia di Greci. Distrutta da Giovanni Ircano nel 108 a.C., ricostruita da Pompeo, nel 30 a.C. fu donata da Augusto a Erode, sotto il quale rifiorì con il nome di Sebaste (Augusta).
Dai resti della città di S., corrispondenti all’od. località di Sebastiyya, provengono vasi, avori, amuleti, scarabei di tipo egizio, òstraka con iscrizioni paleo-ebraiche. Al periodo postisraelitico risale una fortezza, mentre all’età romana sono da riferire i templi di Augusto, di Ercole e di Persefone, una larga via colonnata, il foro, il teatro, la basilica, l’ippodromo e un mausoleo nella necropoli.
Invisi ai Giudei per la loro mescolanza etnica e l’eterodossia religiosa, i Samaritani subirono dai Romani due rappresaglie – per essersi radunati senza permesso sul Monte Garizim (dove tra il 4° e il 2° sec. a.C. avevano costruito un proprio tempio a Yahweh, distrutto poi da Giovanni Ircano) –, al tempo di Ponzio Pilato, e durante la guerra di Vespasiano, che inviò contro di loro il generale Ceriale. A lungo perseguitati, sopravvivono ancora in ridotte comunità. La religione dei Samaritani è fondamentalmente simile a quella giudaica. Istruiti nella religione di Israele da un sacerdote ebreo inviato dagli Assiri, inizialmente praticarono tuttavia culti idolatrici. Accanto alla legge scritta, rappresentata dal Pentateuco, i Samaritani conoscono una legge orale, solo tardi e parzialmente redatta, caratterizzata dall’attesa messianica del Taheb, riformatore che instaurerà il regno di Dio sulla terra per 1000 anni. La liturgia si discosta da quella ebraica, specialmente nei riti pasquali. La lingua è una forma di ebraico; l’aramaico samaritano costituisce, con quello palestinese e quello cristiano, il gruppo occidentale dei dialetti in cui l’aramaico si suddivise intorno all’età cristiana, e appartiene quindi al semitico di nord-ovest. La letteratura ha carattere liturgico.
Notissima è la parabola evangelica del buon Samaritano (Luca 10, 30-37), esempio di carità disinteressata, in quanto soccorre un Giudeo ferito dai ladroni sulla strada di Gerico, nonostante i Samaritani fossero invisi ai Giudei.