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Neshat, Shirin

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Fotografa e videoartista iraniana (n. Qazwīn 1957). Premiata alla Biennale di Venezia del 1999, N. si è imposta a livello internazionale come una delle artiste contemporanee più rappresentative nell'esplorare la complessità delle condizioni sociali all'interno della cultura islamica, rivolgendo uno sguardo particolare al ruolo che qui la donna ricopre. Proprio la condizione della donna islamica, il suo rapporto con il mondo maschile e più in generale il rapporto della cultura islamica con quella occidentale sono così diventati i nodi centrali della sua ricerca artistica.

Vita

Recatasi per ragioni di studio negli Stati Uniti nel 1974, all'avvento della rivoluzione islamica in Iran vi rimase in esilio, proseguendo i suoi studi artistici all'Università di Berkeley (1979-81; 1993) e poi stabilendosi a New York. La possibilità di ritornare nel 1990 in patria e la constatazione della sua radicale trasformazione ne hanno profondamente influenzato la ricerca indirizzandola, prima attraverso la fotografia poi con video e cortometraggi, verso la comprensione delle complesse forze intellettuali e religiose sottese ai problemi connessi all'identità femminile e al rapporto tra i generi nella realtà islamica contemporanea. La sua opera ha ricevuto importanti riconoscimenti, tra i quali si ricordano il primo premio internazionale alla Biennale di Venezia del 1999, il gran premio alla Biennale di Kwangju del 2000 e il Lillian Gish Prize ricevuto a New York nel 2006.

Opere

Senza rinnegare la sua duplice appartenenza al mondo occidentale e a quello orientale, N. ha impostato un discorso figurativo altamente poetico, capace di scuotere lo spettatore con immagini e muti racconti: espressione di problematiche che seppur connesse con l'islamismo ne oltrepassano i confini. I suoi primi lavori (Women of Allah, 1993-97) sono fotografie in bianco e nero di donne velate, primi piani di parti del corpo femminile (volti, mani, piedi), sulle quali N. sovrascrive versi di poetesse iraniane contemporanee, come F. Farrukhzād, che mettono in discussione le qualità stereotipe associate alle donne musulmane. Nella successiva trilogia di installazioni video sono raccontate storie, affidate quasi esclusivamente alla coreografia delle immagini e alla musica (per la quale si è avvalsa della collaborazione di S. Deyhim), che rende più intensi gli stati emozionali. InTurbulent (1998) il racconto trae ispirazione dalla legge iraniana che proibisce alla donna di cantare in pubblico; Rapture (1999) tratta della separazione dei generi, contrapponendo un gruppo di uomini, che eseguono rituali apparentemente assurdi in una fortezza, e un gruppo di donne che vagano in un deserto fino a giungere alla spiaggia sotto la fortezza e spingono una barca in mare, strumento del loro destino, forse di morte, forse di libertà; Fervor (2000) analizza il rapporto amoroso tra un uomo e una donna. Altre opere di N. sono: Soliloquy (1999), su una donna musulmana che è in costante compromesso tra Oriente e Occidente, tra esigenze della tradizione e del mondo di oggi; Passage (2001), cortometraggio a colori girato in Marocco, con la musica di P. Glass, ambientato nel deserto, incentrato sulla morte e sul lamento; Pulse (2001), in bianco e nero, ambientato in un interno: una donna ascolta la musica emessa da una radio accordando la sua voce al canto della voce maschile; i versi di Rūmī, la musica di S. Deyhim raggiungono effetti d'intensa sensualità. Dopo numerosi cortometraggi, tra cui meritano di essere citati almeno Passage (2002),The last world (2003), Mahdokht (2004) e Zarin (2005), si è pienamente affermata come regista con Zanan-e-bedun-e mardan (Women without men, 2009), incisiva analisi dei destini convergenti di quattro donne sullo sfondo della rivoluzione islamica, cui è stato assegnato il Leone d'argento alla 66° Mostra del cinema di Venezia, cui ha fatto seguito la pellicola Looking for Oum Kulthum (2017), raffinatissima ricerca sulla leggendaria cantante egiziana. La sua opera è stata presentata in numerose personali (Kunsthalle di Friburgo in Svizzera, 1996; Museo d'arte moderna di Lubiana, 1997; Tate Gallery di Londra, 1998; Konsthall di Malmö, 1999; Kunsthalle di Vienna, 2000; Musée d'art contemporain di Montreal, 2001; Castello di Rivoli, 2002; Galería Filomena Soares di Lisbona, 2003; Stedelijk Museum di Amsterdam, 2006; Galeria Filomena Soares, Lisbona, 2007; Gladstone Gallery, New York, 2008) e nelle più significative rassegne (tra le altre, le biennali di Johannesburg, İstanbul, Venezia, Kwanju, Lione, Valencia).

Vedi anche
Panahi, Jafar Regista iraniano (n. Mianeh 1960). Autore di corto e mediometraggi per la televisione iraniana, è stato assistente del regista A. Kiārostamī. Tra le voci più interessanti e originali del nuovo cinema iraniano, ha puntato lo sguardo sul mondo dell'infanzia e sulla condizione femminile del suo Paese con ... Trinca, Jasmine Attrice italiana (n. Roma 1981). Dopo il felice debutto in La stanza del figlio (2001), per la regia di N. Moretti, è stata diretta da M.T. Giordana nella pellicola La meglio gioventù (2003), grazie alla quale l’anno successivo si è aggiudicata il Nastro d’argento come migliore attrice protagonista. ... Comencini, Francesca Regista cinematografica e televisiva italiana (n. Roma 1961), ha esordito in Francia con Pianoforte (1984), film per cui nello stesso anno è stata premiata con il premio De Sica al Festival di Venezia. Tra i suoi lavori successivi: La lumière du lac (1989); Annabelle partagée (1991); Marcellino pane ... Tornatóre, Giuseppe Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano (n. Bagheria 1956). Si è occupato di fotografia, è stato regista teatrale e televisivo e autore di documentari prima di approdare al cinema con Il camorrista (1986). Con il film successivo, Nuovo cinema Paradiso (1988, premio Oscar), ha ottenuto ...
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