Forma di manifestazione del reato che si configura quando l’agente pone in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, ma l’azione non si compie e l’evento dannoso non si verifica (art. 56 c.p.). Fondamento politico-criminale di questo istituto è prevenire l’esposizione a pericolo di interessi giuridicamente protetti. L’aspetto più problematico in materia è stabilire la distinzione tra atti ‘preparatori’ e atti propriamente ‘esecutivi’, soprattutto al fine di individuare l’inizio dell’attività penalmente rilevante. Al fine di superare questa impasse, il legislatore del 1930 ha adottato il duplice criterio dell’idoneità e dell’univocità degli atti. Il requisito dell’idoneità è identificabile con l’attitudine dell’atto alla realizzazione del delitto da porre in essere. Il parametro di accertamento di tale elemento si fonda su un giudizio ex ante in concreto secondo il criterio della prognosi postuma: il giudice deve cioè collocarsi nella medesima posizione dell’agente all’inizio dell’attività delittuosa e valutare, in base alle conoscenze dell’uomo medio, se gli atti posti in essere erano in grado di realizzare il reato. Quanto al criterio dell’univocità degli atti, esso è qualificabile come una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti, considerati in sé per sé e in base al contesto in cui vengono compiuti, devono denotare il proposito criminoso perseguito. L’effettiva configurabilità del tentativo non è compatibile con tutte le figure delittuose previste nell’ordinamento. Per esempio, per espressa disposizione legislativa, il tentativo non è ammissibile nelle contravvenzioni in quanto, per ragioni di politica criminale, si è ritenuto che la minore gravità di queste forme di reato non richiedala punibilità, qualora il fatto non fosse stato consumato; è incompatibile con i delitti colposi perché il tentativo implica l’intenzione, elemento non sussistente in un atteggiamento psicologico colposo; è, altresì, da escludersi nei delitti di attentato perché in queste strutture delittuose il perfezionamento del reato si identifica anche con il semplice tentativo di porlo in essere. Il colpevole di un delitto tentato è punito con la reclusione non inferiore a 12 anni, se la pena stabilita per il reato preso in considerazione è l’ergastolo; negli altri casi con la pena stabilita per il delitto diminuita da 1/3 a 2/3.
Desistenza volontaria e recesso attivo. - L’art. 56 prevede, inoltre, i casi di desistenza volontaria e recesso attivo. Il primo si verifica se il colpevole rinuncia volontariamente all’azione criminosa. In tal caso l’agente soggiace alla pena prevista per gli atti effettivamente compiuti, qualora questi costituiscano un reato diverso; il secondo si configura se il colpevole impedisce l’evento. Per questa ipotesi la pena è diminuita da 1/3 alla metà. Ai fini della loro efficacia, desistenza e recesso devono realizzarsi volontariamente, ovvero senza l’intervento di fattori esterni, quali, per esempio, la resistenza della vittima, oppure il sopraggiungere della polizia.