Forma di imputazione della responsabilità penale qualificata sussidiaria rispetto al dolo, perché la condotta antigiuridica che dà luogo al delitto colposo è punibile nei soli casi espressamente previsti dalla legge. L’art. 42, co. 2, c.p. stabilisce, infatti, che nessuno può essere punito per un fatto, previsto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, tranne nei casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente indicati dalla legge. Nelle contravvenzioni, invece, è indifferente che la condotta sia dolosa o colposa (art. 42, ultimo co., c.p.). Per la configurazione del delitto colposo, è necessario che la condotta sia cosciente e volontaria, che l’evento, salvo determinati casi, non sia voluto e che il fatto sia imputabile all’agente per negligenza (intesa come errore di valutazione nel compimento di un’attività), per imprudenza (identificabile nell’errore di attuazione di una data attività) o per imperizia (qualificabile come negligenza o imprudenza propria di chi compie atti che presuppongono la conoscenza di regole tecniche ma non le rispetta per ignoranza o inettitudine). Se l’obbligo di diligenza, prudenza o perizia ha le sue fonti in cosiddette regole sociali, non previste in alcun tipo di norme, si configura la colpa generica; se, invece, l'evento viene posto in essere in violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline dal contenuto precauzionale, si configura la colpa specifica. In entrambi i casi il fondamento della colpa risiede nell’inosservanza di regole cautelari il cui rispetto avrebbe impedito il verificarsi dell’evento. Il contenuto di tali regole può consistere in un obbligo di astensione, in un obbligo di adozione delle misure cautelari richieste nel caso specifico, nell’obbligo di preventiva informazione o in un obbligo di controllo sull’operato altrui da parte di chi riveste una posizione gerarchicamente sovraordinata. Prevedibilità ed evitabilità dell’evento sono i criteri fondamentali per stabilire il nesso causale tra la condotta colposa dell’agente e l’evento stesso. La prevedibilità si identifica nella possibilità per l’agente di rappresentare nella sua mente l’evento dannoso come conseguenza di una certa azione od omissione; essa va valutata in concreto secondo un giudizio di prognosi postuma basato sul parametro normativo del cosiddetto ‘agente modello’, rapportato alle conoscenze specifiche del soggetto agente nella realtà. L’evitabilità consiste invece nell’effettiva possibilità di evitare l’evento dannoso o pericoloso oggetto delle regole precauzionali. Qualora l’agente, pur rappresentandosi l’eventualità che il fatto si verifichi, ne escluda la reale possibilità e non si astenga dal porre in essere la condotta vietata, si ha colpa cosciente; se invece non prende in considerazione il verificarsi dell’evento, nemmeno a livello di rappresentazione, si ha colpa incosciente. Si parla, infine, di colpa impropria quando l’agente ha voluto l’evento non con dolo, ma per errore sul fatto di reato (art. 47 c.p.), per eccesso nella rappresentazione di una causa di giustificazione (art. 55 c.p.), o per erronea supposizione di circostanze di esclusione della pena (art. 59, ultimo co., c.p.).
La colpa professionale. - Una particolare forma di colpa è quella del professionista che commette un illecito penale nell’esercizio della sua attività. In merito ai criteri di individuazione e imputazione, parte della dottrina sostiene che anche questo tipo di colpa debba essere valutato alla stregua dei parametri generali di negligenza, imprudenza e imperizia (ex art. 43 c.p.), con possibile rilevanza penale della colpa lieve. Un diverso orientamento afferma, invece, l’applicabilità, anche in sede penale, dell’art. 2236 c.c. il quale prevede che il professionista possa rispondere essenzialmente per imperizia e solo per colpa colpa grave. Fondamento di questa tesi è la salvaguardia della discrezionalità tecnica del professionista rispetto a situazioni complesse che richiedono anche l’assunzione di rischi; tipico in tal senso è l’esempio dell’attività medico-chirurgica.
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