Ramo della matematica che si occupa delle tematiche legate al calcolo delle variazioni, affrontando problemi nei quali non sono direttamente applicabili i metodi classici dell'analisi lineare.
Abstract di approfondimento da Analisi non lineare: metodi variazionali di Antonio Ambrosetti (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
I primi problemi di calcolo delle variazioni si presentano quasi spontaneamente, anche nello studio della geometria elementare, e hanno infatti attratto l’interesse dei matematici fin dall’antichità. Per esempio, nel libro VI degli Elementi di Euclide si affronta il problema di trovare, tra tutti i rettangoli con perimetro assegnato, quello di area massima. Un semplice calcolo mostra che la risposta corretta è un quadrato. Questo è un caso particolare del problema isoperimetrico per i poligoni piani: tra i poligoni con un dato numero di lati e con perimetro assegnato, qual è quello di area massima? La risposta – il poligono regolare con il corrispondente numero di lati – era nota a matematici come Zenodoro e Pappo diversi secoli prima dell’inizio dell’era cristiana.
Altri problemi di calcolo delle variazioni, che è possibile studiare utilizzando tecniche sostanzialmente elementari, sono quello della riflessione della luce, già risolto nell’antichità da Erone, e quello della sua rifrazione, studiato all’inizio del Seicento da Willebrordus Snellius, René Descartes e Pierre de Fermat.
Tuttavia, l’inizio del moderno calcolo delle variazioni si fa di solito risalire al problema della brachistocrona, posto dapprima da Galileo Galilei e in seguito, in maniera completa, dal matematico svizzero Johann Bernoulli. Si tratta del problema seguente: dati due punti in un piano verticale, si consideri una massa puntiforme che cade, con velocità iniziale nulla e soggetta solo alla forza di gravità, lungo una curva che congiunge i due punti. Tra tutte le traiettorie possibili, qual è quella lungo la quale la massa puntiforme impiega il minimo tempo per andare da un punto all’altro? La soluzione fu trovata nel 1697 dallo stesso Johann Bernoulli – e indipendentemente da suo fratello Jakob, anch'egli matematico di fama – oltre che da Gottfried Leibniz e Isaac Newton: la traiettoria cercata è un arco di cicloide. In seguito furono posti e risolti diversi problemi simili, come quello della catenaria, della superficie di rivoluzione di area minima e il problema del solido di minima resistenza in un fluido. Tutti presentano un’importante novità: per la prima volta l’incognita che occorre determinare è una funzione.
La ricerca di risultati generali per problemi di minimo di questo tipo portò Leonhard Euler e Joseph-Louis Lagrange a formulare una condizione necessaria, sotto forma di un’equazione differenziale, per l’esistenza di minimi (o massimi). Si ottiene così una procedura canonica per affrontare e risolvere problemi di minimo del calcolo delle variazioni: si cerca una soluzione dell’equazione di Euler-Lagrange e poi si prova che essa fornisce effettivamente il minimo cercato. In seguito furono formulate, per esempio da Carl G.J. Jacobi, anche delle condizioni sufficienti per la risoluzione del problema di minimo.
Un punto di vista del tutto nuovo nell’affrontare questo tipo di problemi fu dato all’inizio del secolo scorso dall’introduzione dei metodi diretti da parte di David Hilbert e poi, in Italia, da Leonida Tonelli. L’idea è che invece di passare attraverso la risoluzione dell’equazione di Euler-Lagrange, si affronta direttamente il problema dell’esistenza del minimo. Applicando questi metodi Hilbert «richiamò in vita» – come egli disse – il principio di Dirichlet.
I metodi diretti hanno aperto nuove prospettive di ricerca anche per affrontare lo studio dei problemi non lineari di tipo variazionale. Infatti, non solo i minimi ma tutti i punti critici di un funzionale sono soluzioni dell’equazione di Euler-Lagrange e in molti casi può accadere che le soluzioni non banali di tale equazione siano invece dei punti di sella. La loro determinazione è l’obiettivo della teoria dei punti critici, che ha avuto un enorme sviluppo negli ultimi cento anni e rappresenta uno dei filoni di ricerca più attivi nell’analisi matematica.
Un differente metodo, elegante e preciso, per determinare i punti critici di un funzionale su una varietà compatta dello spazio euclideo n-dimensionale si fonda invece sull’uso di profonde proprietà topologiche: si tratta dalla teoria sviluppata negli anni Trenta da Marston Morse. Nel caso non compatto, una condizione che sostituisce la compattezza è stata introdotta in seguito da Richard S. Palais e Steven Smale. I risultati ottenuti per spazi euclidei sono stati opportunamente estesi a spazi funzionali di dimensione infinita, anche nel caso in cui non vale la condizione di Palais e Smale, grazie a lavori di Haim Brezis, Louis Nirenberg e successivamente di Pierre-Louis Lions.