Nella storia e nella critica architettonica, quel filone che, dagli anni 1930, si contrappone antiteticamente alle correnti razionaliste. Il concetto di organicità, spesso associato o identificato con quelli di funzionalismo, Einfühlung ecc., nel campo dell’architettura moderna ha preso spunto dalle teorie di F.L. Wright che, già nel 1910, considerava o. quell’architettura pensata e progettata come ‘una cosa unica’, capace, quindi, di evitare l’isolamento dell’edificio, prescindendo dal suo arredo interno, dal luogo e dall’ambiente a esso relativi. Questi principi ineludibili sono arricchiti da una costante preoccupazione per gli aspetti psicologici e dall’anelito di migliorare la qualità della vita, per la valorizzazione dei materiali costruttivi, per le soluzioni tecnologiche di dettaglio, della piccola scala progettuale ecc. L’edificio non viene, quindi, ‘bloccato’ in rigidi schemi compositivi ma si ‘libera’ verso la ricerca di rapporti con la natura circostante.
All’architettura o. sono state connesse esperienze diverse, da quelle di L. Sullivan a quelle di H. Häring, R. Neutra o A. Aalto. In Italia, a fronte di una contestazione critica del razionalismo, l’architettura o. fu introdotta da B. Zevi con il testo Verso un’architettura organica (1945); tra il 1945 e il 1950, l’APAO (Associazione Per l’Architettura Organica, incoraggiata anche da Zevi) perseguì l’obiettivo di pianificare il disegno ambientale e di riorganizzare la produzione edilizia.
L’architettura o. ha ciclicamente oscillato tra la tendenza a recedere a puro slogan e le rinascite propositive dei suoi principi sociali e progettuali, quali per es. quelle dovute alle sperimentazioni prodotte dalla cosiddetta rivoluzione informatica.