Dottrina politico-sociale che realizza il principio della collaborazione tra le classi e le categorie sociali. Si distinguono due concezioni del c.: quello cattolico (R.-C-H. La Tour du Pin ed E. Villeneuve in Francia; W.E. von Ketteler in Germania; G. Toniolo in Italia) e quello fascista attuato in Italia, Spagna, Portogallo, Brasile ecc., e tuttora fonte di ispirazione per movimenti di estrema destra.
Il c. cattolico, nato in opposizione alla società liberale scaturita dalla rivoluzione industriale, fu alla base della dottrina sociale cattolica della seconda metà dell’Ottocento che trovò la sua sistemazione dottrinaria nell’enciclica Rerum Novarum (1892), nella quale Leone XIII sollecitò, in nome del solidarismo cristiano, la formazione di «corporazioni di arti e mestieri miste di operai e padroni» onde «unire le due classi tra loro».
Il c. fascista, il cui manifesto programmatico fu la Carta del lavoro (1927) – ritenuta fonte legislativa primaria del diritto corporativo –, in sede teorica ebbe numerose interpretazioni e, almeno nei primi anni fu oggetto di vivacissime polemiche, attraverso le quali si espressero le varie tendenze sociali che sottendevano il fascismo. Per es., per A. Rocco le corporazioni dovevano essere uno strumento fondamentale per lo sviluppo della potenza economica e politica italiana, mentre U. Spirito vide nel c. la soluzione del problema proprietario.
Attualmente il termine è usato, in senso estensivo, per indicare la politica rivendicativa ristretta e settoriale seguita da associazioni o gruppi di lavoratori.