Pratica illegale che consiste nell’assunzione da parte di atleti o nella somministrazione agli stessi di droghe, sostanze eccitanti, farmaci (ammine simpaticomimetiche, analettici, anabolizzanti, ormone della crescita o GH ecc.), o nel ricorso a pratiche terapeutiche (per es. autoemotrasfusioni) rivolte a migliorare artificiosamente le prestazioni agonistiche. Il termine d., inizialmente, indicava soprattutto la somministrazione ad animali da competizione (cavalli, cani) di droghe o farmaci stimolanti durante l’allenamento o subito prima della gara.
Il d., oltre a implicare rischi sanitari, si configura anche come un illecito sportivo, perseguito dalle organizzazioni preposte all’attività agonistica. Fino agli anni 1960, soprattutto nel ciclismo, era un fenomeno poco definibile, ma sulla spinta di fatti tragici come la morte di T. Simpson nel 1967 per un collasso causato dalle anfetamine, l’uso di farmaci venne strettamente regolamentato e fu introdotto l’obbligo di regolari controlli antidoping, istituzionalizzato a livello internazionale. Il CIO ha istituito nel 1999 un’apposita agenzia, la WADA (World Anti-Doping Agency), fondazione indipendente che si occupa della lotta al d. e ha fissato una lista di sostanze e di metodi di d. il cui utilizzo è espressamente vietato (Olympic movement anti-doping code). In Italia l’esigenza di contrastare il fenomeno ha determinato l’emanazione della l. 376/14 dicembre 2000, con la quale è stata dettata un’articolata disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping. In base a tale legge, che fa esplicito riferimento ai principi etici e ai valori educativi richiamati dalla Convenzione contro il d., firmata a Strasburgo il 16 novembre 1989, costituiscono d. la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o l’assoggettamento a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti. Sono inoltre equiparate al d. la somministrazione di farmaci o sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione di pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche, che siano finalizzate e comunque idonee a modificare i risultati dei controlli; presso il ministero della Salute, una Commissione è preposta alla vigilanza sul d. e alla tutela delle attività sportive. Il CONI ha a sua volta istituito organismi per l’attuazione di programmi educativi e campagne di informazione, portando avanti le necessarie ricerche scientifiche e le indagini sulle violazioni al regolamento antidoping.
La lotta al d. si rivela sempre più complessa non solo per la difficoltà di definirlo in maniera incontrovertibile (in linea teorica un farmaco può essere assunto da un atleta per una reale necessità), ma soprattutto perché la ricerca di pratiche dopanti sempre più sofisticate si avvale, di fatto, dei progressi della ricerca scientifica ordinaria che sfrutta in maniera fraudolenta. Un caso emblematico è quello dell’eritropoietina, definita comunemente EPO, utilizzata per determinate patologie ematiche, in campo sanitario, e per aumentare artificiosamente l’ossigenazione e la funzionalità dei tessuti muscolari, nel doping.