Sindrome neurologica complessa, caratterizzata dal periodico ripetersi di manifestazioni psicofisiche improvvise, quali sospensione o perdita della coscienza, stato confusionale, movimenti automatici e, nelle forme più gravi, convulsioni muscolari, dilatazione delle pupille, cianosi del volto, emissione di bava. L’e. come malattia va distinta dalla crisi epilettica, che è un evento clinico transitorio, privo di quella tendenza al ripetersi delle crisi che è un criterio fondamentale della diagnosi. La classificazione moderna distingue numerose forme di e., la cui terapia è in genere di tipo farmacologico.
L’e. colpisce l’1% della popolazione: in Italia ne sono portatori oltre 500.000 individui e ogni anno si verificano oltre 25.000 nuovi casi. Il termine sta a indicare una modalità di reagire del sistema nervoso centrale ai più svariati stimoli, che si traduce clinicamente nella comparsa di crisi di cui si conoscono oltre 40 tipi diversi. La crisi epilettica è dovuta a un’improvvisa alterazione dello stato di equilibrio delle membrane neuronali che, attraverso un meccanismo di depolarizzazione, determina una scarica improvvisa e ipersincrona di una popolazione di neuroni. Il fenomeno si traduce clinicamente in una particolare forma di attacco epilettico, legata alla sede e al numero di neuroni coinvolti dalla scarica anomala, nonché al grado di maturazione cerebrale del soggetto che la presenta.
La diagnosi di e. si basa su dati clinici ricavati dalle informazioni che il paziente è in grado di fornire sulle proprie crisi, e soprattutto da ciò che possono riferire testimoni oculari opportunamente interrogati. Può essere di sussidio diagnostico l’elettroencefalogramma (EEG), che consente di avere informazioni sulla funzionalità elettrica di diverse aree neuronali e di registrare le scariche abnormi responsabili delle crisi. Queste possono essere circoscritte, oppure generalizzate, scatenate da particolari manovre, quali l’iperventilazione o la stimolazione luminosa intermittente, e possono essere correlate con l’evento critico (EEG critico), oppure costituire un elemento del tracciato di base (EEG intercritico). Recentemente ha acquistato molta importanza il video-EEG, un metodo che permette la contemporanea registrazione su video del segnale elettroencefalografico e della fenomenologia clinica presentata dal paziente; l’analisi simultanea dei dati acquisiti rende possibile studiare la crisi epilettica nella sua globalità.
L’attuale classificazione delle crisi epilettiche e delle sindromi a esse correlate individua tre categorie principali: le e. idiopatiche, dipendenti dall’età, la cui causa non è una lesione, ma la presenza di una predisposizione genetica; le e. criptogenetiche, in cui non è dimostrabile una causa (che comunque deve essere esistita) e le e. sintomatiche, in cui è documentabile una lesione responsabile delle crisi. Tale classificazione adotta inoltre criteri topografici per la diagnosi di sede delle e. parziali, così da individuare la localizzazione anatomica delle crisi (lobo temporale, parietale, frontale, occipitale). Il ruolo dell’ereditarietà è confermato da studi familiari, che indicano un rischio di malattia molto più elevato nei discendenti di soggetti affetti da e.: 10-15% nel caso delle forme idiopatiche e 2-5% nelle forme sintomatiche e criptogenetiche. La malattia può essere dovuta a un solo gene, dominante o recessivo, o multifattoriale, non legata cioè all’azione, nello stesso individuo, di un solo gene, bensì alla cooperazione di più geni e di fattori ambientali non ancora identificati. Le ricerche condotte in questo ambito hanno permesso di identificare molti geni, fra cui, per es., il gene responsabile delle convulsioni neonatali familiari benigne e il gene dell’e. mioclonica giovanile.
Sono forme di e. a elevata predisposizione genetica, prive di deficit neurologici, con esordio legato all’età del soggetto. Le EGI includono diverse sindromi, caratterizzate da tre tipi di crisi, che possono manifestarsi in modo variabile anche nello stesso soggetto: crisi convulsive tonicocloniche, consistenti in scosse ritmiche della muscolatura somatica (grande male); assenze tipiche; mioclonie (brusche contrazioni muscolari involontarie). Svolgono spesso un ruolo fattori scatenanti, quali l’alterazione del ritmo sonno-veglia, eventi stressanti, stimolazione luminosa intermittente, televisione, videogiochi o altre sorgenti luminose. Le caratteristiche cliniche delle sindromi più frequenti sono: a) convulsioni neonatali familiari benigne, sindrome rara, ereditaria, che si manifesta tra il secondo e il terzo giorno di vita con crisi cloniche e di apnea (arresto involontario del respiro); nel 14% dei casi insorge successivamente un’e.; b) convulsioni neonatali benigne, che insorgono intorno al quinto giorno di vita e si presentano con frequenti crisi miocloniche o di apnea; c) e. mioclonica benigna dell’infanzia, forma rara, caratterizzata da crisi miocloniche di breve durata, che esordisce tra il primo e il secondo anno di vita in bambini che non presentano deficit intellettivi e/o neurologici; d) piccolo male a tipo assenza dell’infanzia, una delle forme più frequenti di EGI. Insorge in bambini normali in età scolare, con un picco tra i 6 e i 7 anni. Le assenze sono caratterizzate da un’improvvisa sospensione della coscienza di breve durata (5-10 secondi); sia l’inizio sia la fine sono bruschi, e il bambino riprende prontamente l’attività interrotta; la frequenza delle assenze è molto elevata (10-200 al giorno); e) piccolo male a tipo assenza giovanile: le assenze sono le stesse del piccolo male, ma compaiono in età puberale e si manifestano in modo più sporadico; f) e. mioclonica giovanile: si manifesta intorno alla pubertà con mioclonie bilaterali agli arti, soprattutto superiori. Spesso il paziente presenta crisi di grande male, meno frequentemente assenze; g) e. con crisi di grande male al risveglio: insorge generalmente tra i 10 e i 20 anni. Le crisi si verificano prevalentemente poco dopo il risveglio, indipendentemente dall’ora della giornata in cui questo avvenga, con un secondo picco nel periodo serale di relax. L’evento critico inizia con improvvisa perdita di coscienza, seguita da caduta a terra, con una fase tonica (contrazione della muscolatura di collo, tronco e arti) caratterizzata da arresto del respiro, spesso cianosi, contrattura dei muscoli masticatori, con conseguente blocco delle mascelle, e morsicatura della lingua; segue la fase clonica, caratterizzata da scosse ritmiche agli arti. La durata è di circa un minuto, cui segue di frequente un coma postcritico, di pochi minuti o anche ore, oppure uno stato confusionale spesso agitato.
Questo gruppo di e. è rappresentato da forme gravi, con crisi molto frequenti, resistenti alla terapia. La sindrome di West è contraddistinta da spasmi della muscolatura degli arti e del tronco, spesso accompagnati da pianto e da arresto dello sviluppo psicomotorio. La prognosi è sfavorevole (soprattutto per le forme sintomatiche) ed è condizionata dalla tempestività della diagnosi e della terapia (corticosteroidi, vigabatrin). La sindrome di Lennox-Gastaut insorge tra 1 e 8 anni, unita a ritardo mentale, con crisi toniche (ossia aumento del tono muscolare) di breve durata, crisi atoniche (ossia diminuzione del tono muscolare), spesso associate a cadute a terra e ad assenze atipiche (le quali hanno un inizio e una fine poco definiti rispetto alle assenze del piccolo male a tipo assenza). L’ e. con crisi mioclono-astatiche insorge tra i 6 mesi e i 6 anni, con mioclonie diffuse agli arti e alle spalle; lo sviluppo psicomotorio è normale (v. fig.).
Comprendono quelle forme in cui la scarica che le sottende interessa una popolazione di cellule cerebrali circoscritta, dando origine a una crisi parziale semplice o complessa, o anche generalizzata se, pur avendo un inizio localizzato, sfugge poi al controllo dei meccanismi inibitori e si diffonde a entrambi gli emisferi cerebrali. Le forme idiopatiche sono prive di lesioni anatomiche e spesso soggette a remissione spontanea. A questa categoria appartiene l’ e. rolandica, caratterizzata da crisi parziali semplici motorie coinvolgenti un lato del volto o l’arto superiore, che nel 75% dei casi si verificano durante il sonno, determinando il risveglio del paziente, talvolta associate a crisi generalizzate tonico-cloniche. Essa ha una prognosi favorevole, in quanto le crisi tendono a scomparire con la pubertà. Le forme criptogenetiche e quelle sintomatiche, che differiscono unicamente per l’evidenza eziologica, assente nelle prime e presente nelle seconde, costituiscono la maggior parte delle e. parziali, e possono comparire a qualsiasi età, anche se nella maggior parte dei casi iniziano nell’adolescenza o nella gioventù.
Le cause sono numerose e possono verificarsi in epoca prenatale, perinatale o postnatale. I fattori prenatali sono per lo più legati a una inadeguata ossigenazione intrauterina (per es., per traumi, malformazioni cerebrali ecc.); i fattori perinatali comprendono le emorragie intracraniche su base traumatica, oppure la sofferenza ipossica che può derivare da un parto difficoltoso; i fattori postnatali includono le patologie infettive (in particolare, encefaliti, meningiti e ascessi cerebrali), quelle vascolari (più spesso ischemie che emorragie), i traumi cranici e i tumori, più frequentemente nel caso delle neoplasie a lento sviluppo (meningiomi, astrocitomi). I sintomi possono essere diversi, in quanto sono legati all’area della corteccia cerebrale che viene interessata dalla scarica, ma sono costanti nel singolo paziente. Un particolare tipo di crisi è quello che si verifica quando viene coinvolta la corteccia motoria, con crisi parziali semplici motorie, che iniziano con contrazioni muscolari ritmiche, limitate a un solo segmento corporeo oppure coinvolgenti in sequenza un intero lato del corpo (crisi Jacksoniana con marcia). Per formulare una diagnosi di e. parziale, una volta stabilita la natura epilettica e il carattere parziale o focale delle crisi, occorre stabilire la causa di tali episodi e quindi sottoporre il paziente a indagini neuroradiologiche, quali la tomografia computerizzata (TC) e la risonanza magnetica nucleare (RMN), che potranno chiarire l’eventuale natura sintomatica, oppure, se negative, criptogenetica dell’epilessia.
La terapia delle e. è per lo più di tipo farmacologico. Nelle e. parziali resistenti ai farmaci, in particolare se esse sono connesse a un sito cerebrale la cui asportazione non comporta deficit neurologici post-operatori permanenti, può essere indicata una terapia neurochirurgica che conduce molto frequentemente a una completa guarigione del paziente. La terapia farmacologica va iniziata con un unico farmaco (vale a dire con una monoterapia) di prima scelta per il tipo di e. diagnosticato. Se non si ottiene un completo controllo delle crisi, è necessario aumentare la posologia del farmaco sino alla dose massima tollerata e, in caso di insuccesso, si procede a un cambio della terapia in atto con un secondo ed eventualmente un terzo farmaco. Nel caso in cui la diagnosi formulata sia esatta e l’iter terapeutico sia stato correttamente seguito, si ottiene un controllo delle crisi in circa il 70% dei casi.