Ciascuna delle annotazioni interlineari o marginali che accompagnano i testi giuridici medievali. Con valore collettivo, la raccolta delle annotazioni di un glossatore a un testo, con eventuale incorporazione di g. d’autori precedenti.
Le g. diventarono frequenti nel diritto romano postclassico, col decadere degli studi giuridici. Il più celebre impiego di tale metodo di studio è quello che si ebbe a Bologna, a partire dall’11° sec., con Irnerio e la sua scuola sui testi della compilazione giustinianea. Tra i glossatori bolognesi vi furono i ‘quattro dottori’ Bulgaro, Martino, Iacopo e Ugo di Porta Ravegnana, immediati successori d’Irnerio; poi Vacario, Rogerio, il Piacentino, Pillio da Medicina, Ugolino, Giovanni Bassiano, Carlo di Tocco, Azzone, Roffredo da Benevento, Accursio, Odofredo. Ad Accursio è dovuta la compilazione della Glossa ordinaria o Magna glossa, in cui, dalla immensa congerie di g. accumulatesi in circa un secolo e mezzo di attività della scuola, trascelse e coordinò quella che al suo giudizio appariva la parte più vitale.
Glossatori si dissero per antonomasia i rappresentanti di questo indirizzo, che fu seguito anche nello studio delle fonti del diritto canonico.
Presso i Greci, denominazione delle locuzioni arcaiche, dialettali, o comunque rare, oggetto di studio da parte di grammatici o di ricerca da parte di poeti dotti (soprattutto alessandrini) che ne infiorarono le loro composizioni. Si chiamarono g. anche le spiegazioni di tali locuzioni, sia che si trovassero inserite in ampi repertori, sia che costituissero semplici note interlineari (dette anche glossemi) sovrapposte, nel testo, alla parola da dichiarare; spesso qualche glossema, per distrazione di un posteriore amanuense, fu interpolato nel testo. In testi letterari la g. risale ad alta antichità (g. a Omero si fanno risalire al 5° sec. a.C.) e particolarmente ampia ne è l’applicazione da parte dei grammatici dell’età alessandrina. Durante l’età tardo-repubblicana e imperiale romana non mancarono i glossatori, fra i quali troviamo nomi come Varrone, Festo, Verrio Flacco ecc.
Per l’apposizione della g. nei margini dei codici letterari e scolastici si creò fra il 10° e l’11° sec. una particolare tipizzazione della minuscola carolina, piccola, alta e sottile, che è detta appunto scrittura della g. o, in tedesco, Glossenschrift. Essa fu in seguito ereditata e modificata nella prima metà del 14° sec. dai preumanisti italiani e in particolare da F. Petrarca, che la portò a rara perfezione calligrafica, mentre nei codici giuridici diveniva, come tipo anche se non come formato, identica alla minuscola gotica del testo.
Il glossario è una raccolta di vocaboli, per lo più antiquati o rari, o comunque più bisognosi di spiegazione, registrati in genere in ordine alfabetico e seguiti dalla dichiarazione del significato o da altre osservazioni. I glossari possono attingere le voci da un particolare momento storico nell’evoluzione di una lingua, e in questo caso hanno forma di un comune dizionario; oppure da un singolo testo o autore, e allora hanno spesso forma di indice collocato in fine dell’opera. Il termine va connesso con il significato di «locuzione rara» che ha in greco la parola γλῶσσα; la tradizione greca usa invece il termine lessico.
Glossografia Nella tradizione greca, lo studio delle g.; sorta già nel 6°-5° sec. a.C., si diffuse specialmente in età alessandrina e diede inizio e alimento alla lessicografia vera e propria.
Ciascuno dei due lobi mediodistali che si articolano sul labbro inferiore degli Insetti; i lobi laterali si chiamano paraglosse. Spesso le g. sono fuse in un pezzo unico, che si chiama anche ligula (o, impropriamente, glossa) ed è particolarmente sviluppata negli Insetti con apparato boccale lambente. Nell’ape è lunga, termina con un’espansione (labello), ha una doccia ventrale ed è rivestita di peli. La lunghezza della g., che supera quella degli altri pezzi boccali, consente all’ape operaia la raccolta del nettare.