(o petrodollari) Depositi in eurodollari (➔ eurodivise) detenuti dai paesi esportatori di petrolio. I p. si distinguono dagli eurodollari soltanto in base alla specificità dei loro possessori e indipendentemente dalla banca presso la quale sono depositati.
I continui, massicci aumenti del prezzo del petrolio decisi dai paesi OPEC a partire dalla fine del 1973, immediatamente dopo la guerra del Kippur, comportarono da una parte un ampliamento eccezionale delle quantità di valuta di riserva (in gran parte collocata in depositi di breve termine nel mercato delle eurodivise), e dunque di p., disponibile per tali paesi, e dall’altra un forte peggioramento dei saldi delle bilance di parte corrente dei paesi industrializzati e di quelli in via di sviluppo (PVS) importatori di petrolio. È in questo quadro che si pone il cosiddetto riciclaggio dei p., cioè la destinazione e gli impieghi delle eccedenze che i paesi produttori di petrolio hanno accumulato fino al 1981 e di nuovo a partire dalla seconda metà degli anni 1990. In sostanza, il problema per i paesi con forti deficit petroliferi è stato quello di far sì che le eccedenze dei paesi OPEC si indirizzassero verso le loro economie per consentire un risanamento, almeno parziale, del disavanzo dei conti con l’estero, rimandando in un secondo tempo le possibilità di realizzare un riequilibrio di tipo reale. Dopo la crisi del 1973, il finanziamento dei disavanzi è risultato tuttavia meno difficile del previsto, anche se non sono mancati squilibri e disfunzioni nei meccanismi utilizzati per la canalizzazione di tali disponibilità: tra il 1974 e il 1977, per es., lo xenomercato (o mercato delle eurovalute) ha svolto un importante ruolo d’intermediazione finanziaria (oltre un terzo dell’avanzo di parte corrente dei paesi OPEC è stato collocato su tale mercato), permettendo in tal modo il finanziamento di quasi la metà dei fabbisogni netti dei paesi in via di sviluppo. A partire dal 1979, peraltro, il riciclaggio è risultato più difficile a causa delle vicende economiche e politiche internazionali (per es., la crisi iraniana). Tale stato di squilibrio (storicamente manifestatosi soprattutto nel triennio 1979-81) ha evidenziato la necessità di una maggiore cooperazione a livello internazionale per il finanziamento dei disavanzi dei paesi non petroliferi (in particolare di quelli a basso reddito) e di un ruolo dei principali organismi economici internazionali. I paesi in via di sviluppo dispongono infatti di risorse in genere scarsamente sfruttate e di abbondante manodopera non qualificata; i paesi esportatori di petrolio possiedono in molti casi capitali in misura superiore ai fabbisogni interni e dunque sono alla ricerca di possibili impieghi alternativi; infine i paesi industrializzati, oltre ad avere capacità produttive spesso sottoutilizzate, dispongono di tecniche e competenze che possono essere messe a disposizione dei paesi meno sviluppati. Nel 2007 il surplus dei paesi produttori di petrolio (e quindi le disponibilità in p.), si è attestato su livelli record, anche superiore all’avanzo corrente della Cina.