Presso i grammatici greci, ogni particolarità accessoria che appare nella realizzazione di un suono nella parola, indipendentemente dall’articolazione essenziale di esso: intonazione, aspirazione, quantità ecc. In senso ristretto e più comunemente, ogni particolarità che concerne la quantità o durata delle sillabe in sé e all’interno di una parola, soprattutto in rapporto alla versificazione (talvolta il termine è usato come sinonimo di metrica).
La distinzione fra vocale lunga (−) e vocale breve (◡), fondamentale per la fonologia indoeuropea, si conserva a lungo nelle lingue classiche. Bisogna anzitutto distinguere dalla vocale lunga la sillaba lunga, quella cioè che termina in consonante (detta sillaba chiusa: i grammatici antichi parlano in tal caso di vocale ‘lunga per posizione’) o che contiene una vocale lunga; sillaba breve è invece quella che termina in vocale breve. Mentre per il greco lo stabilire la lunghezza della vocale in sillaba chiusa non presenta in genere difficoltà (il greco, per es., distingue anche nella grafia ε da η, ο da ω), per il latino è necessario ricorrere a vari criteri di giudizio, come i riflessi nelle lingue romanze, le testimonianze dei grammatici, gli elementi forniti dalle trascrizioni dal greco, le iscrizioni (che spesso indicano la vocale lunga con la grafia arcaica del dittongo: ou per ū), la fonetica storica. Particolarità della p. latina sono: l’abbreviazione di una vocale dinanzi a un’altra vocale (sintetizzata dai grammatici con l’espressione vocalis ante vocalem corripitur), o dinanzi a un’enclitica, oppure a m finale; l’abbreviazione della vocale davanti a t nei monosillabi (dopo Plauto); l’abbreviamento giambico (correptio iambica) che permette, in certe condizioni, di valutare come due sillabi brevi (◡◡, pirrichio) una sequenza di sillaba breve e di sillaba lunga (◡_, giambo), fenomeno che, assai esteso nella lingua arcaica e frequente in poesia fino a epoca sillana, non si registra in età postsillana; l’abbreviazione di vocali lunghe nell’ultima sillaba di polisillabi dinanzi a t, r, s, l; l’abbreviazione in età imperiale della o finale della 1ª persona singolare del presente indicativo e del nominativo singolare dei temi in -on- (tipo regio).
Nel flusso delle parole formanti il verso, il contatto reciproco dà luogo a speciali figure fonetiche che per il loro carattere interessano prosodicamente e metricamente. Fenomeni ricorrenti nella poesia sono la sinizesi, che consentiva di considerare due vocali immediatamente susseguentisi all’interno di una parola come un unico fonema vocalico (aurea, dearum, eum, duobus ecc.); la sinalefe (o elisione), per cui la quantità di una sillaba finale uscente in vocale o in dittongo o in m di regola non veniva percepita se seguita da parola iniziante con vocale o con h (man(e) erat; pulver(em) Olympicum; nem(o) haec); l’aferesi, per cui le forme es ed est (da sum) perdono la quantità della e (riducendosi a ’s e ’st) quando seguono una parola terminante in vocale o in -m (interea (e)st; tuam (e)st); lo iato, fenomeno opposto della sinalefe, per cui nell’incontro di due fonemi vocalici (o di sillaba in -m con vocale), uno in fine di parola e uno all’inizio della successiva, nessuno di essi perde la propria realtà e fisionomia (un particolare tipo di iato è il cosiddetto iato prosodico: nell’incontro di sillabe finali in -m o lunghe, compresi i dittonghi, con inizio vocalico o in h di parola, non si produce sinalefe ma l’abbreviamento della sillaba lunga o del dittongo).
Il senso della quantità in latino va via via perdendosi come si avverte già nell’epoca imperiale, mentre acquista sempre maggior valore distintivo la qualità dei suoni, come dimostrano gli esiti nelle lingue romanze.