romanzo
Narrare vicende, costruire intrecci
Il romanzo realizza un’attitudine propria dell’uomo: quella di raccontare. Ma affinché sia possibile parlare di romanzo è necessario che la narrazione sia presentata con un intreccio, con una sequenza logica. Anzi l’abilità del narratore emerge proprio dal modo in cui questi riesce a legare tra loro gli eventi narrati secondo una precisa coerenza. Affermatosi nel corso del Seicento, il romanzo ha conosciuto nei secoli successivi una crescente fortuna, diversificandosi in numerosi generi, facendosi testimone e portavoce dei temi sociali o individuali all’epoca più urgenti, elaborando la propria forma e struttura in funzione delle diverse finalità
La parola romanzo deriva dal termine del francese antico romanz con cui si indicava una qualsiasi lingua volgare derivata dal latino. Già all’inizio del 12° secolo con romanz si definisce pertanto un testo scritto in lingua volgare, e in seguito anche un’opera narrativa volgare in versi: sia i romanzi medievali francesi sia i nostri romanzi cavallereschi sono infatti scritti in versi. Successivamente il romanzo adotta la prosa. Nelle letterature moderne e contemporanee, esso finisce così per indicare un componimento letterario in prosa che si afferma nel corso del Seicento e che raggiungerà il suo massimo sviluppo due secoli più tardi.
L’origine del romanzo moderno corrisponde all’affermarsi di una scrittura non retorica né altisonante, funzionale a profonde trasformazioni sociali ed economiche che attirano sempre più l’attenzione di scrittori e pubblico sulle questioni sociali. La prima opera di questo genere è il Don Chisciotte (1605) di Miguel de Cervantes. In esso si affermano alcune caratteristiche che segnano una netta differenza dal romanzo medievale: l’interesse per le vicende quotidiane e per la psicologia dei personaggi, l’adozione di uno stile medio – lontano da quello alto dell’epica – e la mescolanza di elementi seri e comici.
Una più attenta rappresentazione della realtà si avrà in Inghilterra tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento; l’affermarsi di nuovi modelli di vita legati alla società mercantile e proto-industriale inglese favorisce l’interesse per alcuni temi di cui il romanzo si fa portavoce: arricchimento e povertà, spregiudicatezza e arrivismo sociale, avventurosa scoperta di nuovi mondi. Principali interpreti di questa realtà sono gli scrittori Daniel De Foe (Robinson Crusoe, 1719, e Moll Flanders, 1722) e Henry Fielding, che ambienta il suo capolavoro, Tom Jones (1749), nell’Inghilterra rurale e che affronta il tema del matrimonio e della famiglia in Amelia (1751).
L’interesse del pubblico per gli argomenti affrontati rende sempre più popolare questo genere narrativo, che inizia ad assumere forme diverse assorbendo differenti tipologie narrative. Si diffonde il romanzo allegorico-filosofico che – come nei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift o nel Candide (1759) di Voltaire – diviene uno strumento di confutazione intellettuale di teorie pedagogiche, sistemi filosofici e ideologie politiche. Jane Austen, autrice di Orgoglio e pregiudizio (1813), inaugura invece il romanzo d’ambiente che rappresenta in particolare contesti familiari o circoscritte realtà di provincia.
Pamela (1740) di Samuel Richardson dà forma alla tipologia narrativa del romanzo epistolare, in cui la vicenda viene narrata attraverso le lettere scambiate tra due o più personaggi. Si distinguono, infine, per originalità le opere di Laurence Sterne che, con La vita e le opinioni di Tristram Shandy (1760), rinnova gli schemi della narrazione tradizionale.
Acquisite caratteristiche così diverse, nel corso dell’Ottocento il romanzo assume una forma più unitaria. Si prediligono narrazioni realistiche e personaggi ben individuati da un punto di vista sociale, che insieme formano un quadro d’ambiente di un’epoca precisa. Si diffonde in tal modo, tra gli anni Venti e i Quaranta, il romanzo storico che avrà come principali rappresentanti l’inglese Walter Scott, narratore di avventure di ambientazione medievale, e l’italiano Alessandro Manzoni, che presenta i suoi Promessi sposi (1827-40) come un autentico documento della vita milanese del Seicento.
Accanto alla narrazione storica, cresce l’attenzione per la società contemporanea, abilmente illustrata dall’inglese Charles Dickens e, soprattutto, dai romanzieri francesi: Stendhal con Il rosso e il nero (1830) inaugura il romanzo realistico; Honoré de Balzac nel ponderoso ciclo La commedia umana, intestazione sotto la quale raccoglie tutti i suoi romanzi, offre uno straordinario ritratto della varietà umana creata dalla vita sociale; Gustave Flaubert in Madame Bovary (1857) descrive il mondo borghese di una città di provincia, puntando allo scavo psicologico della protagonista. Proprio in Francia la tendenza all’indagine realistica si spinge a tal punto che il romanzo diventa una sorta di studio scientifico degli individui e delle classi sociali: Émile Zola sarà il teorizzatore di questo metodo, definito naturalismo. Su di esso si fonda anche il verismo italiano che, teorizzato da Luigi Capuana, ebbe gli esempi più noti nei romanzi di Giovanni Verga dove le vicende di umili personaggi sono narrate in stretto rapporto con l’ambiente circostante.
Anche il romanzo russo, sorto all’inizio dell’Ottocento, predilige la scrittura realistica e socialmente impegnata. Esso diventa un’arma contro la dispotica censura zarista in Le anime morte (1842) di Nikolaj V. Gogol´ e una sensibile rappresentazione degli istinti e degli affetti umani nei grandi quadri epici e sociali di Lev N. Tolstoj (Guerra e pace, 1865-69, e Anna Karenina, 1875-77). Nelle opere di Fëdor M. Dostoevskij (da Delitto e castigo, 1866, a I fratelli Karamazov, 1878-80) il romanzo si presenta come sguardo disincantato sulla sofferenza degli individui esclusi dalla società, fino a diventare analisi psicologica delle nevrosi umane, in una prospettiva che anticipa gli sviluppi del Novecento.
Il romanzo del Novecento risente della mutata condizione ideologica e sociale del nuovo secolo: la crisi del positivismo, la consapevolezza degli aspetti contraddittori della vita, l’interesse per la coscienza umana, la scoperta dell’inconscio rendono del tutto inadeguata la convinzione, propria del naturalismo, che la scrittura possa rappresentare il reale. Di fronte alla labilità di ogni evento o teoria, acquista rilievo l’arte che tende alla ricerca di una possibile verità da rintracciarsi nell’interiorità umana o in realtà ignote e lontane. Le esperienze narrative che porteranno alla distruzione delle strutture naturalistiche, segnando in maniera determinante lo sviluppo della narrativa occidentale, sono quelle del francese Marcel Proust, dell’irlandese James Joyce e del boemo Franz Kafka. Su questa linea si inserisce in Italia la produzione di Luigi Pirandello e quella di Italo Svevo che assimila anche l’insegnamento della psicoanalisi.
L’esperienza delle guerre mondiali e, successivamente, degli anni della ricostruzione spostano l’interesse del romanzo, da un lato, verso l’analisi della condizione esistenziale dell’uomo e, dall’altro, verso l’impegno morale e politico. Della prima si fece portavoce il movimento esistenzialista a cui aderirono Jean-Paul Sartre (La nausea, 1938) e Albert Camus (La peste, 1947). L’attenzione alla realtà contingente venne invece ben rappresentata in Italia dal neorealismo, ma anche dall’analisi sociale di Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini, mentre saranno impegnati a costruire nuove ipotesi narrative Carlo Emilio Gadda con il suo linguaggio di eccezionale complessità e Italo Calvino con la sua scrittura dal gusto fantastico.
Il Novecento segna anche l’affermazione della narrativa americana, fino a quel momento in posizione isolata rispetto a quella europea, con la predilezione per una scrittura simbolica. Dall’esperienza della guerra riletta attraverso un personale antimilitarismo nasce Addio alle armi (1929) di Ernest Hemingway, uno degli scrittori statunitensi di più ampio successo in Europa. Negli ultimi decenni del secolo ottiene grande rilievo la narrativa sudamericana: in particolar modo quella del colombiano Gabriel García Márquez (Cent’anni di solitudine, 1967).
In Unione Sovietica dagli eventi politici del tempo prende corpo il romanzo Il dottor Zivago di Boris Pasternak (pubblicato in traduzione italiana nel 1957 e nell’originale russo nel 1961 negli USA), destinato a diventare un caso letterario mondiale. Esiti interessanti ha dato anche la narrativa postcoloniale dell’Africa e del subcontinente indiano: fra tutti gli autori si ricorda Salman Rushdie, scrittore peraltro di nazionalità e lingua inglese.
Insomma il romanzo contemporaneo tende a una connotazione internazionale, a una sorta di tradizione mondiale che è un modo di rispettare le differenze di luogo e di cultura, rendendole però comunicabili.