Operazione con cui un film viene dotato di un sonoro diverso da quello originale, per eliminare difetti tecnici o di recitazione, o trasferire il parlato in una lingua diversa.
L’avvento del sonoro colse impreparate le strutture del cinema italiano, che non era in grado di far parlare i suoi film. Nell’aprile del 1929 uscì in Italia The jazz singer di A. Crosland e in quello stesso anno il governo fascista decretò che le pellicole straniere non potevano circolare in lingua originale. I film stranieri erano quindi distribuiti con le musiche e i rumori della colonna sonora originale, ma privi dei dialoghi che venivano tradotti in lunghe didascalie. Ciò causò una disaffezione da parte del pubblico mettendo a rischio l’occupazione per migliaia di lavoratori del settore cinematografico. Data l’importanza del mercato italiano per l’industria cinematografica statunitense, Metro Goldwyn Mayer, Fox e Warner Bros. realizzarono versioni plurime nei loro stabilimenti di Hollywood, utilizzando attori oriundi che parlavano l’italiano con forti inflessioni americane. Ma i produttori, non soddisfatti dei risultati, pensarono di sperimentare il d., il cui ‘prototipo’ fu un sistema inventato dal fisico austriaco J. Karol, detto dubbing, che consisteva nel sostituire la colonna sonora relativa al parlato con un’altra dove i dialoghi tradotti erano recitati in una lingua diversa dall’originale.
Nel 1932 entrò in funzione il primo stabilimento di d. italiano presso la società Cines-Pittaluga cui seguirono la Fotovox e la ItalaAcustica nel 1933, anno in cui lo stabilimento di doppiaggio Fono Roma fu attrezzato con l’apposito strumentario tecnico. Nel 1934 il governo fascista vietò la circolazione dei film doppiati all’estero e le grandi case di produzione statunitensi dovettero affidarsi agli stabilimenti romani, che videro crescere il loro lavoro in maniera considerevole. Nella seconda metà degli anni 1930 il d. italiano cominciò ad assumere precise caratteristiche tecniche, artistiche ed espressive e si delinearono i requisiti del doppiatore: la duttilità e l’espressività della voce, la dizione tornita, le doti recitative capaci di adeguarsi ai modelli timbrici della voce originale, la particolarità dei toni, la capacità di interpretare tempi e modalità cinematografici e di controllare le inflessioni e i ritmi. Queste qualità hanno reso celebre la scuola di d. italiana, che nel tempo ha visto impegnati attori prestigiosi, sia di teatro (A. Pagnani, P. Stoppa, R. Morelli, G. Albertazzi, G. Cervi, A. Foà, E.M. Salerno) sia di cinema (A. Sordi, R. Cucciolla, G. Giannini), o doppiatori specializzati, come T. Lattanzi (Greta Garbo), E. Cigoli (C. Gable, B. Lancaster, J. Wayne, R. Mitchum, G. Cooper, J. Gabin), G. De Angelis (D. Martin, J. Stewart, C. Grant), L. Gazzolo (il caratteristico ‘vecchietto del west’ e Fernandel), C. Romano (J. Lewis), Giulio Panicalli (R. Taylor), S. Sibaldi (F. Sinatra, D. Kaye, Y. Brinner), C. Gaipa (O. Welles, S. Tracy), P. Locchi (S. Connery, T. Hill, T. Curtis), G. Rinaldi (P. Newman, M. Brando, J. Lemmon), M. Turci (A. Delon), L. Simoneschi (I. Bergman, G. Kelly), R. Savagnone (S. Signoret, E. Taylor, S. Loren), M.P. Di Meo (J. Fonda, C. Deneuve, S. Mc Laine, B. Streisand), R. Calavetta (la voce di Biancaneve), C. Barbetti (R. Redford, R. Moore), S. Graziani (P. O’Toole, J.-L. Trintignant), N. Gazzolo (D. Niven), R. Turi (W. Matthau), O. Lionello (W. Allen).
Inizialmente i doppiatori, costantemente nell’ombra, non condividevano il successo degli attori celebri cui prestavano la voce e non venivano mai alla ribalta. Solo nel 1937 alcune riviste di cinema cominciarono a parlare del d. e dei suoi maggiori esponenti e nello stesso periodo si affermò la pratica di doppiare anche alcuni attori italiani. Il primo fu R. Villa, protagonista di Il grande appello (1936), che M. Camerini fece doppiare da M. Pisu perché insoddisfatto della dizione dell’attore; una certa diffidenza dei produttori rispetto alle voci di alcuni attori e attrici italiani, considerate troppo ruvide o sgradevoli nei loro timbri e toni, si manifestò anche in seguito, e, soprattutto agli inizi, furono doppiati nomi illustri del cinema italiano come S. Loren, G. Lollobrigida, S. Mangano, L. Bosé, C. Cardinale, O. Muti, S. Sandrelli, R. Vallone, R. Salvatori, M. Arena, F. Nero, G. Gemma, e perfino A. Magnani. Nel secondo dopoguerra era invalso d’altronde l’uso di scegliere gli attori per l’aspetto fisico, senza tenere conto della loro dizione; persino uno dei capolavori-manifesto del Neorealismo, Roma città aperta (1945) di R. Rossellini, utilizzò il d.: C. Rovere e M. Pagliero erano doppiati da R. Calavetta e L. Gazzolo e un bambino aveva la voce di F. Amendola.
Già negli anni 1940, però, gli intellettuali si schierarono contro il d. dei film stranieri, proponendo in alternativa i sottotitoli. Ma il referendum proposto da M. Antonioni, che per il suo film d’esordio Cronaca di un amore (1950) fece doppiare L. Bosé da Calavetta e F. Fabrizi da A. Sordi, evidenziò che lo spettatore italiano era ormai abituato alle straordinarie voci dei doppiatori e apprezzava la tecnica del doppiaggio. Nel 1944 fu fondata la prima e più importante cooperativa di doppiaggio, la CDC (Cooperativa Doppiatori Cinematografici), che comprendeva circa 150 iscritti divisi in varie categorie (direttori di d., protagonisti, comprimari, caratteristi, generici), e nel 1945 era nata la ODI (Organizzazione Doppiatori Italiani), che raggruppava attori teatrali decisi a svincolare la pratica del d. dalla corrispondenza rigida del rapporto fra la voce e il volto, o che si sentivano schiacciati dalla presenza dei doppiatori storici. Si affermarono così quelle voci che ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione del cinema, soprattutto statunitense, degli anni 1940 e 1950, e che contribuirono a creare un feeling esclusivo fra gli spettatori italiani e i divi dell’epoca; accanto a queste si moltiplicarono le voci prestate, negli anni 1960 e 1970, ad attori francesi, inglesi, tedeschi: da Cigoli a Cervi, Asti, Fantoni, da C. Polacco a Sordi (le cui esperienze radiofoniche lo avevano reso adatto alla carriera di doppiatore ancor prima di divenire attore), M. Busoni, G. Onorato, F. Betti, A. Miserocchi, per arrivare a F. Amendola, forse l’esempio più indicativo della duttilità e della modernità nell’ambito delle voci del d. italiano, per la sua grande capacità di scardinare la rigidità della tecnica tradizionale prestando inflessioni e cadenze ad attori innovativi come D. Hoffmann, R. De Niro, Al Pacino.
All’inizio degli anni 1950, le due maggiori organizzazioni si separarono e sorsero nuove società, tra cui la Sinc nel 1967 e la CVD (Cine-Video Doppiatori) nel 1970, alle quali si aggiunsero il Gruppo Trenta e altre società che proliferarono dai primi anni 1980 in seguito al boom di telenovelle, serie televisive e soap opera. L’avvento delle televisioni private favorì l’incremento delle società di d. che da una decina divennero un centinaio; parallelamente i doppiatori, che alla fine degli anni 1950 erano circa 300, sono passati nel nuovo millennio a oltre 1500. Si sono moltiplicate anche le organizzazioni di postsincronizzazione, mentre i tempi di lavorazione sono calati, a scapito della qualità, a partire dalla seconda metà degli anni 1970, quando telefilm, telenovelle e film per la televisione hanno costretto i doppiatori a ritmi frenetici. Il d. è entrato così in una nuova era: la concorrenza esasperata ha costretto infatti le società ad attingere al libero mercato delle voci, risparmiando sui tempi e sui costi e stimolando molti doppiatori a lavorare free lance. Nel 1978 è nata la CDL (Cooperativa Doppiatori Liberi), trasformatasi nel 1983 in ente morale con il nome di ADL (Attori Doppiatori Liberi).
Il procedimento che consente di vedere/ascoltare un film straniero in un’altra lingua è lungo e complesso. Prima di arrivare al d. vero e proprio bisogna adattare l’opera originale. Nella prima fase si procede a comparare la copia lavoro con la ‘colonna internazionale’, in modo che l’integrazione preservi rumori riproducibili in sala e adattabili all’immagine sullo schermo, per es. il cigolio di una porta (effetti sala), effetti sonori di repertorio (effetti speciali) e rumori di fondo e atmosfere sonore legate all’ambiente in cui si svolge l’azione (effetti ambiente). La copia del film serve inoltre al dialoghista-adattatore che appronterà una versione tradotta in italiano per l’utilizzo nel doppiaggio. L’operazione consiste nella trasposizione e nell’elaborazione in lingua italiana dei dialoghi originali in modo che il labiale e il visivo siano adattati in perfetto sincronismo.
Il filmato viene suddiviso in segmenti costituenti unità separate su cui effettuare il d., i cosiddetti anelli contrassegnati da un codice numerico. Si procede a incidere le voci su una o più piste sonore, oppure su piste e colonne audio separate. Nella sala di d. ci sono due spazi attigui insonorizzati divisi tra loro da un grande vetro. In un ambiente lavora il regista con il direttore di d. e il fonico e nell’altro si dispongono gli attori-doppiatori con l’assistente al d., che controlla sia il sincronismo labiale sia il coordinamento del lavoro, mentre gli attori-doppiatori, di fronte al leggio con il copione italiano, seguendo sullo schermo il filmato, che passa più volte ad anello, e ascoltando in cuffia il sonoro originale, procedono a provare ripetutamente le battute mettendole in sincrono con le immagini e con il movimento labiale degli attori, fin quando non si è pronti a incidere. A questo punto interviene il sincronizzatore che ha il compito di far coincidere le voci italiane registrate con il movimento labiale originale, e che, con l’ausilio di una strumentazione elettronico-digitale, può accorciare o allungare le pause e effettuare accorgimenti per spostare frasi o interi pezzi di dialoghi rispetto al visivo. Nella fase del missaggio si miscelano le colonne doppiate con la colonna internazionale e con le musiche, e infine si aggiungono i titoli in italiano, cioè quelli inerenti all’edizione che verrà distribuita. In oltre 50 anni tale procedimento è stato reso più agile ed efficace dalle sofisticate innovazioni tecnologiche.