Disciplinate unitariamente nel libro IX del codice di procedura penale, le impugnazioni costituiscono un rimedio giuridico che l’ordinamento offre alle parti processuali per rimuovere l’esito di un provvedimento del giudice che esse considerano erroneo, rilevandone i vizi di fatto o di diritto dinanzi a un giudice sovraordinato. Gli errori di fatto ineriscono la divergenza tra la dinamica dei fatti storicamente verificatesi e la ricostruzione logico-giuridica enucleata nel provvedimento del giudice. Gli errori di diritto attengono invece all’inesattezza della disciplina giuridica applicata al caso concreto, a una scorretta interpretazione normativa o all’erronea applicazione delle norme sostanziali o delle norme processuali previste a pena di nullità, decadenza o inammissibilità.
Sono definite ordinarie le impugnazioni esperibili verso decisioni non ancora passate in giudicato (Appello. Diritto processuale penale; Ricorso per cassazione. Diritto processuale penale), mentre si qualificano come impugnazioni straordinarie quelle riguardanti provvedimenti già passati in giudicato (Revisione).
Nonostante la Costituzione indichi unicamente un riesame di legittimità delle sentenze (art. 111), il sistema delle impugnazioni è articolato verticalmente in tre gradi di giurisdizione, due di merito (tribunale monocratico o collegiale e Corte d’appello) e uno di legittimità (Cassazione), e prevede inoltre il mezzo di impugnazione straordinario della revisione. La possibilità di impugnare rappresenta un’espressione del potere dispositivo delle parti, in quanto non solo esse non sono obbligate a utilizzare i mezzi di impugnazione, ma possono rinunciarvi anche se già proposte. L’iniziativa delle parti definisce l’ambito di cognizione del giudice competente per il procedimento di impugnazione perché questi può procedere alla valutazione solo dei motivi di fatto e di diritto addotti dalla parte a sostegno della sua doglianza, e il provvedimento può essere impugnato in tutto o in parte sempre a discrezione della parte che ne ha interesse. Condizione per la proposizione di un mezzo di impugnazione è, infatti, l’interesse della parte a mutare la precedente decisione giudiziaria: l’interesse del pubblico ministero, in quanto rivolto a ottenere l’esatta applicazione della legge, può determinare un vantaggio per lo stesso imputato; quello dell’imputato sottende invece la rimozione di un provvedimento a lui pregiudizievole. In entrambi i casi l’interesse deve essere concreto e attuale. Posto che la scelta di impugnare è rimessa alla libertà delle parti, è la legge che ne conferisce il diritto e che stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione stabilendone il mezzo e i relativi presupposti. Sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non sono diversamente impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e tutte le sentenze, fatta eccezione per quelle sulla competenza, che possono dar luogo a un conflitto di giurisdizione o di competenza.
Sono, inoltre, impugnabili, nei casi e nei modi previsti dalla legge, i provvedimenti concernenti le misure cautelari. Al riguardo, il codice di procedura penale prevede tre mezzi di impugnazione: il riesame (ammesso per le ordinanze che applicano per la prima volta una misura cautelare), l'appello e il ricorso per Cassazione.
Appello. Diritto processuale penale
Ricorso per cassazione. Diritto processuale penale