Filosofo, medico e riformatore religioso (Vilanova de Sixena, Aragona, 1511 - Ginevra 1553). Studente di diritto a Tolosa, si volse ben presto agli studî biblici, patristici e filosofici, venendo così a contatto con le opere degli autori della tarda scolastica (R. Holkot, P. d'Ailly) e con quelle di Erasmo e di L. Valla. Dopo essere stato per alcuni anni al servizio di Juan de Quintana, dottore alla Sorbona e autorevole membro delle Cortes di Aragona, si dimise dall'incarico e si recò a Basilea, forse nella speranza di incontrarvi Erasmo; qui, ospite di Ecolampadio, entrò in rapporto con gli ambienti riformati, con Zwingli, Bullinger, Capitone e altri, ai quali prese ad esporre le sue idee, che suscitarono subito notevoli perplessità, se non avversione, perché riscontrate vicine all'eresia ariana. Passato a Strasburgo pubblicò il De Trinitatis erroribus (1531) che, per quanto dato subito alle fiamme, ebbe una certa diffusione in Svizzera, nell'alta Renania e nell'Italia settentrionale. La stessa sorte ebbero i Dialogorum de Trinitate libri duo; De Iustitia Regni Christi et de Charitate, capitula quatuor (1532). Osteggiato dai riformatori svizzeri e tedeschi e perseguitato dall'Inquisizione spagnola, S. si rifugiò a Parigi (1532-34), poi a Lione, assumendo il nome di Michel de Villeneuve e guadagnandosi la vita come correttore di bozze (preparò la revisione, correzione e annotazione della Geografia di Tolomeo [1535], che gli procurò larghissima fama). Nel 1537 era a Parigi, con l'amico Sinforiano Champer (Campeggio): qui acquistò celebrità con i suoi studî di medicina (negò l'esistenza dei pori di comunicazione interventricolari del cuore e forse ebbe una nozione esatta della circolazione polmonare). Ma con la sua opera polemica Syruporum universa ratio ad Galeni censuram diligenter esposita (1537) entrò in urto con la Sorbona. Pare che in questi anni S. avesse un primo contatto con Calvino. Girò ancora per la Francia proseguendo il suo lavoro di editore e correttore. Nel 1546 aveva terminato di scrivere la sua opera capitale: Christianismi restitutio, opera di teologia e insieme di scienza e di filosofia. Prima di pubblicarla ne aveva mandato il manoscritto a Calvino chiedendogli un'approvazione, ma Calvino negò il suo benestare, si rifiutò di restituire il manoscritto e scrisse a G. Farel dichiarando che se S. fosse passato da Ginevra avrebbe fatto di tutto perché non ne uscisse vivo. Ricomposta l'opera con gli appunti in suo possesso, S. la pubblicò clandestinamente nel 1553. Calvino ne identificò subito l'autore e fece pervenire all'Inquisizione, tramite un discepolo, gli autografi. Lasciato in libertà condizionale per avere negato di essere l'autore del libro e per avere dichiarato di chiamarsi Michel de Villeneuve, S. riuscì a fuggire dapprima in Spagna e poi alla volta dell'Italia, passando per Ginevra. Qui fu riconosciuto, denunciato e arrestato (13 agosto 1553). La causa fu dibattuta dal Piccolo consiglio, dove Calvino aveva la maggioranza: S. fu condannato a essere bruciato vivo, come eretico ostinato. n Le dottrine di S. si possono riportare al misticismo neoplatonico del Rinascimento. Su questo sfondo egli costruisce la sua dottrina teologica che sfuma il rapporto Dio-Mondo in termini che possono interpretarsi panteistici: tutto il creato è manifestazione di Dio nel senso che tutte le essenze sono "modi" di Dio; il modus primigenio è Cristo: attraverso di lui conosciamo negli altri modi l'essenza divina, in maniera diretta e immediata. Ma poiché l'onnipotenza operante di Dio s'incarna in Cristo, solo Cristo fra i modi deve essere adorato, come piena manifestazione dell'onnipotenza di Dio (Cristo è un uomo che meritò di essere da Dio elevato a proprio figlio e Cristo è Dio non per natura ma per grazia: è Dio Padre che l'ha santificato ed esaltato, perché Cristo si è umiliato); negli altri modi tale onnipotenza è, sì, operante per intero, ma s'incarna solo parzialmente, diventando solo parzialmente sensibile. In rapporto alla critica di S. alla teologia tradizionale è la sua negazione della dottrina trinitaria ("cerbero a tre teste"), il rifiuto del battesimo dei bambini e della dottrina della predestinazione (questo in polemica con Calvino, in difesa del merito delle buone opere).