Nuclide che presenta radioattività, sia naturale sia indotta artificialmente. I r. naturali con numero atomico Z maggiore di 83 sono tutti radioattivi. Altri elementi naturali con Z<83 presentano una debole attività, sia per la presenza molto scarsa dell’isotopo o degli isotopi specificamente responsabili della loro radioattività, sia perché la vita media di tali isotopi è molto lunga: entrambi questi fatti fanno sì che la radioattività sia debole e difficile da rivelare. Oltre ai r. naturali, ve ne sono altri, molto più numerosi, prodotti artificialmente (r. artificiali): se ne conoscono più di 1200; per ogni elemento del sistema periodico si conosce almeno un r., e per alcuni se ne conoscono anche più di 20. Le vite medie misurate di questi r. artificiali variano da frazioni di microsecondo a molti milioni di anni. Molti r. artificiali hanno trovato importanti applicazioni in campi diversissimi quali la chimica, la biologia, la medicina e l’ingegneria.
Dopo aver prodotto i r. artificiali per mezzo di opportune reazioni nucleari (➔ radioattività) è necessario purificarli e isolarli, con metodi della radiochimica, per preparare un prodotto esente da altri contaminanti radioattivi e anche da certi inattivi, e in una forma chimica opportuna per le applicazioni e le manipolazioni successive. Le manipolazioni chimiche necessarie sono simili a quelle consuete, tranne per alcuni aspetti; uno di questi è la durata delle operazioni, che deve essere piuttosto breve quando si trattano specie radioattive di corta vita media. Per questo è stato necessario studiare speciali processi di separazione, che richiedono talvolta solo pochi secondi. Questi processi a seconda dei casi possono essere di precipitazione, scambio ionico, volatilizzazione, estrazione con solventi, elettrolisi e deposizione elettrolitica. La massa di r. prodotta in una reazione nucleare di formazione in genere è molto piccola; per facilitare le manipolazioni, si aggiunge una certa quantità di materiale inattivo, isotopico con il r., che viene indicato con il nome inglese di carrier («supporto»).
Molto lavoro è stato fatto da fisici e radiochimici per raccogliere gli schemi di decadimento dei r., includenti tutti i modi di disintegrazione degli stessi, le loro frequenze, le energie, la sequenza delle radiazioni emesse, le vite medie degli stati intermedi, dei quali vengono determinati i numeri quantici di spin e la parità. La conoscenza di questi schemi di decadimento è essenziale in tutte le applicazioni dei radioisotopi.
Il fatto che un r. sia radioattivo non altera le sue proprietà chimiche. Questa considerazione è alla base dell’uso dei r. come indicatori, o traccianti, in chimica e in biologia, che permettono di seguire in dettaglio i processi che un elemento subisce nel corso di un processo chimico o biologico; la tecnica usuale consiste nel mescolare all’elemento normale, inattivo, che funziona da carrier, una piccola quantità di un suo isotopo radioattivo, che può essere facilmente rivelato misurandone l’attività e tenendo conto del suo schema di decadimento. Nella tabella sono indicate le caratteristiche di alcuni r. e le loro applicazioni biomediche come traccianti.
La radioisotopoterapia è la metodica che si occupa dell’applicazione terapeutica dei r.: questi possono essere somministrati con modalità diverse a seconda dei casi. Quando sia possibile ottenere il r. in soluzione e questo abbia tendenza a localizzarsi elettivamente nell’organo o nei tessuti da irradiare (come avviene per 131I nel caso della tiroide, per 32P nel caso dei tessuti emopoietici), si ricorre preferibilmente alla via orale o a quella endovenosa. In caso di neoplasie che coinvolgono sia cavità naturali (vescica, retto) sia organi compatti, i r. possono essere collocati in sito con diverse modalità o iniettati sotto forma di soluzione colloidale. Infine possono essere applicati sulla superficie esterna di un organo (per es., l’occhio); in tal caso si preferiscono isotopi che emettono raggi β e che sono privi o poveri di raggi γ (90Sr, 90Y, 32P ecc.).