L’art. 2106 c.c. stabilisce che la violazione da parte del lavoratore degli obblighi di diligenza (art. 2104 c.c.) e fedeltà (art. 2105 c.c.) , prevista dal codice disciplinare, può essere sanzionata dal datore di lavoro in maniera proporzionata alla gravità dell’infrazione. Le procedure attraverso le quali il datore di lavoro può esercitare il proprio potere disciplinare sono previste all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori (l. n. 300/1970). Il procedimento disciplinare inizia con la contestazione, in forma scritta, del fatto addebitato al lavoratore. Il fatto deve essere contestato in maniera specifica e immediata. Il datore di lavoro può sospendere in via cautelare il lavoratore, quando i tempi del procedimento disciplinare siano incompatibili con la presenza di quest’ultimo nell’azienda. Va rilevato come l’intero procedimento disciplinare sia diretto a garantire il contraddittorio tra le parti e il pieno esercizio del diritto di difesa da parte del lavoratore. Entro 5 giorni dalla ricezione della contestazione il lavoratore può chiedere un’audizione al datore di lavoro per rendere le proprie giustificazioni anche con l’assistenza di un rappresentante sindacale, o può esporre le proprie ragioni per iscritto. La sanzione non può essere irrogata prima che siano decorsi 5 giorni dalla contestazione, a meno che (Cass., sent. n. 6900/2003) il lavoratore abbia già pienamente esercitato il proprio diritto di difesa facendo pervenire al datore le proprie giustificazioni. Anche il provvedimento con cui viene comminata la sanzione deve avere forma scritta e contenere la motivazione, ma solo se espressamente previsto dal contratto collettivo. La sanzione comminata deve essere proporzionale all’infrazione commessa dal lavoratore. Una deroga al principio di proporzionalità è prevista solo in caso di recidiva, ossia quando il lavoratore reiteri un comportamento illecito che ha già dato luogo, nel biennio precedente, a un provvedimento disciplinare. In questo caso il datore può comminare una sanzione più grave rispetto a quella normalmente applicabile, ma solo ove la recidiva, o i precedenti disciplinari che la integrano, abbiano formato oggetto della preventiva contestazione al lavoratore, a pena di nullità della sanzione. Le sanzioni possono essere di vario tipo: rimprovero verbale e l’ammonizione scritta (per le infrazioni più lievi); multa (corrispondente alla trattenuta in busta paga di un massimo di 4 ore di retribuzione base); sospensione (interruzione della erogazione retributiva per un massimo di 10 giorni); licenziamento. L’art. 7, co. 4, dello Statuto dei lavoratori esclude la legittimità di s. disciplinari che «comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro», ma ciò non vuol dire che il datore di lavoro non possa procedere al licenziamento, in quanto il potere di recedere dal rapporto è attribuito direttamente dalla legge al verificarsi di situazioni che ne integrino la giusta causa o il giustificato motivo. Il provvedimento può essere impugnato, alternativamente, innanzi all’autorità giudiziaria o innanzi a un collegio di conciliazione e arbitrato appositamente costituito. Il ricorso all’autorità giudiziaria, oltre a essere libero (nel senso che non necessita del consenso dell’altra parte), non soggiace a termini di prescrizione essendo qualificabile come azione di nullità; mentre la procedura arbitrale deve essere promossa entro 20 giorni dall’applicazione della sanzione e, a differenza del ricorso giudiziale, sospende automaticamente la sanzione impugnata, ove il datore di lavoro non nomini il proprio rappresentante in seno al collegio arbitrale, entro 10 giorni dall’invito rivoltogli dalla Direzione provinciale del lavoro.
Obbligo di fedeltà del lavoratore