Terza lettera dell’alfabeto latino.
La sua forma deriva dal gamma dell’alfabeto greco occidentale (calcidese) che fu modello di quello romano. Qui inizialmente la C rappresentò sia la velare sonora ‹ġ› d’accordo con l’uso greco sia la sorda ‹k›, certamente per influsso dell’etrusco, che non distingueva sorde e sonore. Con il passare del tempo, per indicare la sonora s’introdusse la nuova lettera G, lieve modificazione grafica del segno C. Il latino classico conosceva soltanto la occlusiva velare sorda, ossia la cosiddetta c dura ‹k›; ma davanti alle vocali palatali (e e i) l’originaria occlusiva velare (per es. Cicero ‹kìkero›) passò a poco a poco a una pronunzia palatale affricata, che tra il 4° e il 6° sec. d.C. si stabilizzò in un fonema, la nostra c ‘dolce’ ‹č›, ormai sentito come distinto dal fonema velare conservatosi intatto davanti ad a, o, u e a consonante. Da quest’evoluzione è derivata una pluralità di valori del grafema c nelle lingue romanze e nelle altre lingue moderne che hanno accolto l’alfabeto latino. Un primo è quello di fonema occlusivo velare ‹k›. Un primo è quello duro di fonema occlusivo velare sordo ‹k›, rappresentato generalmente dalla semplice c davanti ad a, o, u e a consonante, mentre davanti a e e i l’italiano e il romeno usano ch, le altre lingue ricorrono a segni o digrammi diversi. Gli altri valori della c sono diversi da lingua a lingua. L’italiano ha accanto alla c dura una c dolce, affricata palatoalveolare ‹č›, rappresentata nella scrittura con la semplice c davanti a e e i, con il digramma ci davanti alle altre vocali, e concorda in questo soltanto con il romeno, e non integralmente. I sistemi ortografici e fonetici delle altre lingue si staccano radicalmente dal nostro: il ceco e il croato rappresentano la nostra c dolce con la lettera č (passata in seguito a molti alfabeti fonetici), le altre lingue si servono di digrammi, come per es. il ch spagnolo (che però conta come una lettera sola) e inglese ecc.
La lettera c ha un valore specifico nel nesso sc. Questo in latino rappresentava costantemente s + c, e c aveva il normale valore velare (per es. sciscitor ‹skìskitor›). Davanti ad a, o, u e a consonante, il valore fonetico di sc è rimasto identico in italiano e nelle altre lingue ad alfabeto latino. Davanti alle vocali e e i, invece, il nesso sc ha subito una palatalizzazione analoga a quella della semplice c, ma indipendente: fin da prima della fine dell’unità romana, le due consonanti s e c hanno dato origine a un suono unico, che in italiano si è stabilizzato come fricativa palatoalveolare (š) e che la nostra ortografia seguita a indicare con le due lettere originarie (a cui, quando segua a, o, u, s’aggiunge una i con valore di segno diacritico). La fricativa š, qualunque sia l’origine, è rappresentata da questo digramma (o trigramma) solo in italiano: le altre lingue usano x (portoghese, catalano, antico spagnolo), ch (francese), sh (inglese), sch (tedesco), š (ceco e croato) ecc.
In elettrologia, C indica la capacità elettrica e C è il simbolo del coulomb. Nell’elettromagnetismo e in ottica, c è la velocità delle onde elettromagnetiche nel vuoto. In spettroscopia, C è simbolo della terza riga di Fraunhofer nel rosso (λ=6563,045 Å). In termologia, c indica usualmente il calore specifico; C, la capacità termica; °C è il simbolo del grado Celsius centigrado. In misure di frequenza, c è il simbolo di ciclo (per es., c/s, cioè cicli al secondo). In fisica delle particelle elementari, la lettera c indica uno dei sapori o flavours dei quark detto charm (o fascino); la lettera C l’operazione di coniugazione di carica.
Linguaggio di programmazione ad alto livello progettato agli inizi degli anni 1970 presso i laboratori Bell negli USA, utilizzato sia per scrivere programmi applicativi sia per sviluppare sistemi operativi e programmi di sistema. Una delle caratteristiche del linguaggio C è la possibilità di utilizzare istruzioni a diversi livelli di astrazione. Con C++ si indica un linguaggio di programmazione ‘a oggetti’.
Il simbolo C indica l’insieme dei numeri complessi.
Per l’accezione musicale ➔ notazione.