L’emersione della comunicazione politica nelle esperienze giuridiche contemporanee si ricollega al fondamentale problema della formazione di un dibattito pubblico libero e non manipolato. Nella storia del costituzionalismo moderno, infatti, l’opinione pubblica è sempre stata considerata una delle garanzie costituzionali più importanti: se per i grandi teorici del costituzionalismo liberale, come J. Bentham e B. Constant, essa era la garanzia per eccellenza, la sua importanza non è venuta meno con l’affermarsi dello Stato democratico (Forme di Stato e forme di governo): basti pensare al fatto che uno dei massimi filosofi politici del XX secolo, Habermas, ha voluto dedicare la sua prima opera proprio ai mutamenti strutturali nell’ambito della sfera pubblica e alle sue potenzialità emancipative e che, in questi ultimi anni, si è parlato addirittura della discussa formazione di una «opinione pubblica mondiale». Allo stesso tempo, però, l’affermazione dello Stato democratico di massa, con l’enorme sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, ha portato alcuni studiosi, come C. Schmitt, Marcuse, Adorno e Horkheimer, a ritenere che l’opinione pubblica possa essere manipolata, laddove per Bentham, invece, il «tribunale dell’opinione pubblica» poteva esser sì fallibile, ma mai corruttibile.
La comunicazione politica in Italia. - In Italia, la materia della comunicazione politica, a partire dagli anni novanta del Novecento, è stata interessata dalla problematica della c.d. par condicio, cioè della parità di accesso ai mezzi di comunicazione di massa da parte dei diversi soggetti politici. Una prima disciplina organica in questo senso è stata posta in essere con la l. n. 515/1993, approvata in corrispondenza del più generale processo di riforma dei sistemi elettorali (Elezioni). Successivamente, però, l’uso abnorme della pubblicità televisiva da parte di alcuni candidati durante la campagna elettorale del 1994 ha portato un ulteriore irrigidimento della disciplina normativa, che è stato introdotto prima tramite il d.l. n. 83/1995 (peraltro dichiarato parzialmente illegittimo dalla Corte costituzionale) e, successivamente, con una nuova legge di riforma organica della disciplina (l. n. 28/2000), – quest’ultima, invece, ritenuta non costituzionalmente illegittima – a sua volta parzialmente modificata con la l. n. 313/2003, riguardante il pluralismo nella programmazione delle emittenti radiofoniche e televisive locali.
La l. n. 28/2000 disciplina separatamente la comunicazione politica radiotelevisiva e quella attraverso sui giornali, mentre non detta alcuna disciplina per altri strumenti di comunicazione quali internet, la telefonia cellulare ecc. Per quanto riguarda la comunicazione politica televisiva, è vietata la trasmissione di messaggi pubblicitari, essendo possibile solo la trasmissione di «messaggi politici autogestiti», in condizioni di parità, da parte delle diverse forze politiche. Tali «messaggi politici autogestiti» sono gratuiti, ma questa trasmissione, mentre è obbligatoria per la concessionaria pubblica (R.A.I.), è meramente facoltativa per le emittenti private, nel senso che queste possono anche decidere di non mettere a disposizione alcuno spazio. Disposizioni particolari vengono dettate per le emittenti radiofoniche e televisive locali.
Per quanto riguarda il settore della radiotelevisione privata, sono previsti in capo all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, istituita con la l. n. 249/1997 (Autorità amministrative indipendenti), poteri di tipo normativo e sanzionatorio, mentre, per quanto riguarda la concessionaria pubblica, è competente la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.