Attività umana che consiste nell’allevamento del bestiame, soprattutto ovino, e nello sfruttamento dei suoi prodotti.
Nell’utilizzazione degli animali da parte dell’uomo si possono individuare tre modalità differenti, diverse da un atteggiamento di tipo puramente predatorio: la domesticazione, l’allevamento e la pastorizia. Quest’ultima si pratica essenzialmente su specie animali erbivore originarie delle zone temperate, con istinti gregari e migranti; non riguarda quindi gli animali domestici originari della zona calda, né si è sviluppata nell’America precolombiana o nell’Oceania dove si avevano animali di allevamento, ma non la specializzazione di un’attività pastorale. Legata soprattutto alla necessità di mantenere e accompagnare gli spostamenti stagionali del bestiame (➔ nomadismo), la p. ha avuto probabilmente come primo oggetto la pecora e la capra, per essere poi applicata, in varia misura, anche ad altre specie di animali.
A partire da una specializzazione delle attività legate alla p., si possono sviluppare organizzazioni socioeconomiche, connotate da simili attività, indicate come società pastorali. La specializzazione di un’attività pastorale sembra essersi sviluppata da società di tipo agro-pastorale, nelle quali rappresentava una funzione particolare nell’economia agricola, come nel caso del pastoralismo europeo del 2° millennio a.C., in cui da una base economica mista emergono gruppi specializzati nell’allevamento di bovini, o in quello degli allevatori dell’Africa orientale (Masai, Turkana) o dell’Africa occidentale (Peul). La dialettica tra società pastorali e società agricole ha costituito, in epoche e in spazi diversi, un momento importante della storia umana (per es., Mongoli e Turchi ai confini della Cina imperiale alla fine del 1° millennio; allevatori nomadi e agricoltori nelle regioni nilotiche). L’importanza di tale dialettica e il contenuto processo di diffusione di tecnologie e valori legati all’attività pastorale tendono a mitigare la rigidità di un determinismo geografico, ormai superato, che voleva lo sviluppo delle società pastorali legato alle zone aride o semiaride, desertiche o di steppa.
Per quanto l’importanza dei fattori ecologici sia innegabile, per rendere conto dell’organizzazione delle società pastorali occorre tenere presenti altri fattori, di ordine storico, culturale e sociale. In particolare, occorre considerare: a) lo sviluppo di forme peculiari di cultura materiale (tende o carri, lavorazione delle pelli e del latte); b) i significati (alimentare, rituale, simbolico, sociale, di bene di scambio e di ricchezza) del bestiame; c) l’uso degli animali per il trasporto e la possibilità che da tale uso derivino un inserimento negli scambi commerciali di lunga distanza e un predominio militare su società agricole; d) i rapporti tra un sistema economico mondiale e le diverse economie e società pastorali. Si è osservato come in molte di queste società, a un controllo delle mandrie operato su base domestica, corrisponda una gestione collettiva sovrafamiliare che impone forme di aggregazione e di cooperazione tra unità domestiche. Da qui nascono le forme elastiche di residenza, in cui la concreta interazione su base locale ha maggiore rilievo che l’adesione a schemi normativi (principi di discendenza, appar;tenenza a gruppi corporati di parentela).
A lungo rappresentate come egualitarie, alcune di queste società (Mongoli, Turchi) sono invece fortemente stratificate: in questi casi la circolazione del bestiame assume la forma del tributo. Altre volte il controllo dello spazio, della circolazione delle risorse e delle vie di comunicazione può essere esercitato da aristocrazie locali (Iran, Mongolia), da Stati o da imperi (Mongoli, Almoravidi). Infine, in alcuni casi, il dominio di gruppi pastorali su gruppi agricoli autoctoni può portare alla formazione di società statali stratificate su base ‘etnica’ ed economica. È questo il caso dei cosiddetti regni Bantu interlacustri dell’Africa orientale (Bunyoro, Buganda).
Nel quadro politico-economico attuale, le società pastorali, caratterizzate da forte mobilità sul territorio e da marcata tendenza all’autonomia, sono sottoposte a continue pressioni da parte delle autorità amministrative, interessate a un loro insediamento stabile e a un loro controllo. Da ciò derivano tensioni e conflitti che interessano molti gruppi pastorali.