Diritto reale di contenuto limitato, che grava su un fondo (detto servente) per l’utilità di un altro fondo (detto dominante) (art. 1027 c.c.: «peso imposto sopra un fondo»). Nella struttura del diritto di servitù si sogliono distinguere: l’unilateralità, nel senso che il vantaggio e lo svantaggio sono rispettivamente propri del fondo dominante e di quello servente (con esclusione delle reciprocità); la predialità o l’inerenza del diritto alla cosa sia dal lato passivo sia dal lato attivo, tale da determinare la sua incorporazione, quindi la sua inseparabilità dal fondo servente e da quello dominante (con altra formula questo carattere è detto ambulatorietà del diritto rispettivamente a favore e a danno di quelle persone che siano a un dato momento proprietarie del fondo dominante e di quello servente); la indivisibilità, nel senso che la servitù si comunica attivamente e passivamente a ogni parte anche piccolissima dei fondi.
Il diritto tende a realizzare l’utilità del fondo dominante, utilità che può consistere anche nella maggior comodità o amenità del fondo stesso o inerire alla destinazione industriale del medesimo (art. 1028 c.c.). Detta utilità può essere anche soltanto futura ed essere riconosciuta a favore e a carico di edifici da costruire o di fondi da acquistare, ma in tal caso si ritiene prevalentemente trattarsi di un rapporto giuridico obbligatorio piuttosto che reale (art. 1029). Il proprietario del fondo servente non è obbligato a una prestazione né a porre in essere atti idonei a rendere possibile l’esercizio della servitù da parte del suo titolare attivo, con eccezione di quelle prestazioni accessorie previste dalla legge o dal titolo (art. 1030).
Le servitù sono variamente classificate. Si distinguono, in particolare, le servitù legali (o coattive), imposte dalla legge per soddisfare utilità o necessità di carattere generale, dalle servitù volontarie, derivanti dalla volontà dei singoli (contratto, testamento, destinazione) o con la medesima connesse (usucapione). Quest’ultima classificazione attiene ai modi di costituzione delle servitù ed è pertanto la più importante. L’art. 1031 statuisce che le servitù prediali possono essere costituite coattivamente o volontariamente. Se l’assoggettamento di un fondo a un altro è previsto e imposto dalla legge, quest’ultima rappresenta il titolo in astratto della servitù: si richiede, con riferimento ai singoli fondi dominanti e serventi, il titolo concreto consistente in un atto giuridico proveniente dai diretti interessati o dal giudice. In particolare, quando in forza di una precisa disposizione di legge il proprietario di un fondo ha diritto di ottenere dal proprietario di un altro fondo la costituzione di una servitù, questa può essere posta in essere con un contratto ovvero, in difetto, con una sentenza: in questo ultimo caso sono stabilite le modalità di esercizio della servitù e la corrispondente indennità dovuta dal proprietario del fondo dominante (art. 1032). La legge, al riguardo, prevede l’acquedotto coattivo, lo scarico coattivo, l’appoggio e l’infissione coattivi di chiusa per derivazione di acque, somministrazione coattiva di acque, passaggio coattivo, elettrodotto coattivo e passaggio coattivo di linee teleferiche, oltre a quelle servitù che possono essere imposte con atto delle autorità amministrative.
La servitù può essere costituita volontariamente per contratto (atto scritto) o testamento (art. 1058 c.c.), efficaci anche nei confronti dei terzi solo se trascritti, essendo la servitù un diritto reale immobiliare. Detta costituzione di servitù è valida, in particolare, se il contratto è stipulato fra i proprietari dei fondi rispettivamente servente e dominante e se il testamento è posto in essere dal proprietario del fondo servente a favore del proprietario del fondo dominante. La servitù può essere costituita per destinazione del padre di famiglia e per usucapione (art. 1061-1062 c.c.). La destinazione del padre di famiglia si verifica quando il proprietario di due fondi ritenga necessario o conveniente derivare una utilità a favore di uno dei fondi e a carico dell’altro, e quando i due fondi pervengano a proprietari diversi (art. 1062). Tuttavia siffatto modo di porre in essere una servitù è ammesso dalla legge soltanto per le servitù apparenti (con opere visibili e permanenti destinate al relativo esercizio: art. 1061).
L’esercizio delle servitù incontra dei limiti concernenti le modalità del godimento, limiti indicati dal titolo costitutivo o, in mancanza, dalla legge (art. 1063). Il diritto di servitù comprende tutto ciò che risulti essere necessario al suo esercizio (art. 1064): quando vi siano dubbi circa l’estensione e le modalità di esercizio della servitù, questa deve ritenersi costituita in modo da soddisfare le necessità del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente (art. 1065). Da ciò consegue che le modalità di esercizio della servitù possono essere modificate quando questa sia divenuta più gravosa o impedisca di fare lavori, riparazioni o miglioramenti sul fondo servente (art. 1068), e che il proprietario del fondo dominante, nel fare nel fondo servente le opere necessarie per conservare la servitù, deve scegliere il tempo e il modo che rechino minore incomodo al proprietario del fondo servente (art. 1070).
Le servitù si estinguono per confusione, quando le proprietà dei fondi dominante e servente si riuniscono nella stessa persona (art. 1072 c.c.); per prescrizione, quando non se ne usi per 20 anni indipendentemente dalla impossibilità di fatto di usare della servitù e dal venir meno dell’utilità (art. 1073-1074); per rinuncia del proprietario del fondo dominante, per riordinamento fondiario (art. 853 c.c.). La difesa del diritto di servitù è riconosciuta sia nel caso di contestazione della sua esistenza, sia in quello di impedimenti e turbative del suo esercizio (actio confessoria). Il titolare della servitù può farne riconoscere in giudizio l’esistenza e farne cessare gli impedimenti e le turbative, può chiedere la rimessione delle cose in pristino e il risarcimento del danno (art. 1079 c.c.).