Ventunesima lettera dell’alfabeto latino. linguistica Fino almeno al 16° sec. ha avuto una storia comune con la lettera U, di cui costituiva una variante di scrittura, e fino al 19° sec. ha conservato in comune con essa il nome, distinguendosi all’occorrenza l’u ‘vocale’ (la nostra u) dall’u ‘consonante’ (la nostra v). La duplice lettera dell’alfabeto latino ha origine dalla sesta lettera dell’alfabeto fenicio, nel quale la semiconsonante u̯ era rappresentata attraverso la lettera greca υ, che dal primitivo valore di u vocale passò nella pronuncia ionico-attica a ü (primo effetto di una tendenza che nel greco medievale e moderno avrebbe finito con il trasformare quel suono in i), mentre la pronuncia u si conservò in altri dialetti greci. Da uno di questi, il dialetto di Cuma, i Romani trassero la lettera V del loro alfabeto, con il valore di u. Ma nella grafia si aggiunse presto alla forma normale della lettera una variante calligrafica arrotondata, U, che prese sempre più piede, specialmente come minuscola, fino a diventare nel tardo Medioevo la forma costante della lettera V come minuscola interna o finale di parola. E nella pronuncia all’u vocale si accompagnò fin dall’origine una u semiconsonante, che si conservò inalterata dopo velare (per es., aqua, lingua), ma nelle altre posizioni in cui si poteva trovare, cioè tra vocali o in principio di parola davanti a vocale, passò già in epoca romana al suono della v italiana (per es., volo, cave). La distinzione funzionale tra la grafia u per la vocale (e semiconsonante) e la grafia v per la consonante fu patrocinata per la prima volta dallo spagnolo E.A. de Nebrija (1492) e in Italia da G.G. Trissino (1524); entrò nell’uso definitivamente solo dalla seconda metà del 17° sec., così per il latino come per l’italiano e per le altre lingue che si servono dell’alfabeto latino.
La lettera v rappresenta in italiano un unico fonema, cioè la consonante labiodentale spirante sonora, che, come la maggior parte delle altre consonanti, può essere di grado tenue (per es., avito) o di grado rafforzato (per es., avvito) quando si trova in mezzo a due vocali, o tra vocale e liquida, mentre in ogni altra posizione è sempre di grado medio (per es., invito). Nella fonetica storica italiana, ha avuto notevoli conseguenze l’affinità della v con la bilabiale esplosiva sonora b: nel latino d’età imperiale, infatti, questi due suoni, pur seguitando a distinguersi in principio di parola e dopo consonante, si confusero tra loro nelle altre posizioni, dando entrambi in italiano bb tra vocale e semiconsonante (es., rabbia, lat. rabies; gabbia, lat. cavea) e due v tra vocali (per es., provare, lat. probare; levare, lat. levare). Tanto una v davanti a i semiconsonante (per es., trivio, dal lat. trivium) quanto una b tra vocali (per es., probo, dal lat. probus) sono indizio di formazione dotta delle voci che li contengono. Anche dalla p latina intervocalica, o tra vocale e r, si è avuto v in italiano, non però in tutte le voci ma solo in alcune (per es., ricevere, lat. recipere; sopra e sovra, lat. supra). Per tutto il resto, la v italiana è la regolare continuazione della v latina: iniziale (per es., venire, lat. venire); dopo consonante (per es., selva, lat. silva); tra vocali (per es., lieve, lat. levis). La v italiana doppia, così in parole popolari come in parole dotte, nasce il più delle volte dai gruppi latini dv o bv, per assimilazione (per es., avvenire, lat. advenire; avvocato, dal lat. advocatus; ovvio, dal lat. obvius). chimica La lettera V è simbolo dell’elemento chimico vanadio (➔). fisica La lettera V è il simbolo del potenziale elettrico e anche della sua unità di misura, il volt.
V è il simbolo del volume, mentre v è il simbolo del volume specifico; v è anche il simbolo della velocità.