In diritto tributario, destinazione di un bene, acquistato da un imprenditore o da un lavoratore autonomo nell’esercizio della propria attività, a finalità estranee all’esercizio dell’attività stessa. In un’accezione più ristretta il termine indica la distrazione del bene dalla sfera imprenditoriale o professionale, per il consumo personale o familiare del titolare dell’attività. Entrambe le forme rientrano, a loro volta, nel cosiddetto a. esterno e assumono rilievo tanto ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) quanto ai fini delle imposte sul reddito. È invece irrilevante, da questo punto di vista, il cosiddetto a. interno, che si verifica quando un imprenditore consuma, per le necessità della sua impresa, un bene prodotto dalla sua stessa impresa ovvero da un terzo per suo conto.
La rilevanza dell’a. esterno in materia di IVA risulta evidente ove si osservi che l’immissione al consumo determina di fatto l’integrazione del presupposto del tributo, giacché l’occasionale coincidenza tra consumatore finale e imprenditore non può determinare deviazioni rispetto al meccanismo applicativo dell’imposta. L’esigenza di evitare che un bene giunga detassato al consumo finale ne comporta, infatti, la necessaria imponibilità in tutte le ipotesi in cui il bene fuoriesca dalla sfera imprenditoriale (o professionale), a condizione che, in fase di acquisto, sia stato esercitato il diritto di detrazione. Per tali motivi, l’art. 2, co. 1, nr. 5 del d.p.r. 633/1972, equipara l’a. alle cessioni di beni a titolo oneroso. Mentre il cosiddetto a. di beni, finora descritto, assume rilievo ai fini IVA, tanto nei confronti degli imprenditori quanto dei lavoratori autonomi, diverso è il caso del cosiddetto a. di servizi, la cui rilevanza è limitata, a norma del d.p.r. 633/1972 (art. 3, co. 3) ai soli servizi che vengono destinati all’a. nell’ambito dell’attività d’impresa, rimanendone, invece, escluse le prestazioni rese dai lavoratori autonomi a sé stessi o ai propri familiari. In entrambi i casi (beni e servizi), la base imponibile sarà costituita (art. 15, co. 2, lett. c) dal valore normale dei beni e delle prestazioni.
Ai fini delle imposte sui redditi, il Testo Unico sulle Imposte sui Redditi (TUIR) si occupa dell’a. agli art. 57 e 58, lasciando intendere la concepibilità del fenomeno in esame solo con riferimento a forme di esercizio individuale dell’attività. Anche in questo caso, il consumo personale o familiare da parte dell’imprenditore di beni relativi all’impresa è equiparato alla loro cessione a titolo oneroso. La distrazione di tali beni dalla sfera imprenditoriale genera, pertanto, ricavi ovvero plusvalenze a seconda della natura – di bene-merce ovvero strumentale – del bene. Tanto il ricavo quanto il valore di realizzo saranno costituiti dal valore normale dei beni. Per lungo tempo, invece, l’a. è rimasto irrilevante ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo, coerentemente con la formulazione dell’art. 54 del TUIR, a norma del quale i redditi di lavoro autonomo sono determinati per differenza tra i compensi percepiti e le spese sostenute. Solo con la l. 4 agosto 2006, che ha modificato l’art. 54, con l’inserimento del co. 1-bis, concorrono a formare il reddito anche le plusvalenze e le minusvalenze di beni strumentali «destinati al consumo personale o familiare dell’esercente l’arte o la professione».
Utilizzazione da parte dei produttori di ciò che essi stessi producono, per i consumi familiari. È un fenomeno caratteristico dell’agricoltura premoderna ed è presente nelle zone rurali di molti paesi in via di sviluppo. Nella contabilità nazionale, l’a. indica la quota della produzione di un settore (o comparto) che è utilizzata all’interno dello stesso settore (o comparto) per il processo produttivo.