Disciplina biologica di sintesi che integra campi diversi della biologia come biochimica, biologia molecolare, fisiologia, biologia cellulare, genetica, anatomia, ricerca sul cancro, neurobiologia, immunologia, ecologia e biologia evolutiva. La sua data di nascita si colloca intorno ai primi anni Settanta del Novecento, quando si è iniziato a usare le nuove tecnologie del DNA ricombinante per spiegare come le istruzioni genetiche guidino la formazione di fenotipi composti da tipi cellulari e organi diversi.
Abstract di approfondimento da Biologia dello sviluppo di Giuseppina Barsacchi, Robert Vignali (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
L’interazione tra le problematiche dello sviluppo embrionale e quelle dell’evoluzione è stata così proficua e intensa da generare – nei primi anni Novanta – una nuova disciplina, la ‘biologia evoluzionistica dello sviluppo’, o brevemente ‘evo-devo’ (da evolution e development). Alla base, vi è la scoperta che molti dei geni coinvolti nello sviluppo degli organismi animali sono evolutivamente conservati: si ritiene perciò che tali geni siano omologhi, cioè derivino da uno stesso gene ancestrale, presente in un progenitore comune alle specie considerate. Questo dato rappresenta una delle dimostrazioni più significative della discendenza comune degli organismi: geni che hanno un ruolo chiave nel generare la forma biologica operano dagli invertebrati ai Mammiferi.
Il caso più eclatante è probabilmente quello dei geni omeotici (HOM/Hox), che controllano le identità delle strutture lungo l’asse antero-posteriore nei Metazoi: dove fare le zampe o le ali, dove le braccia o le gambe e così via. Mutazioni nei geni omeotici causano cambiamenti nell’identità delle strutture: per esempio, in Drosophila una di queste mutazioni trasforma i bilanceri in ali, generando un anomalo dittero con quattro ali. Nonostante la distanza tra la mosca e il topo, una mutazione simile nel topo trasforma la prima vertebra lombare in una vertebra toracica, che come tale porta coste. Le mutazioni omeotiche rivelano quindi la profonda condivisione dei meccanismi genetico-molecolari che regolano lo sviluppo di organismi così diversi come la mosca e il topo.
Tale condivisione riguarda molti altri geni importanti nello sviluppo: geni omologhi – orthodenticle (otd) in Drosophila, i geni Otx dei Mammiferi – sono coinvolti perfino nella formazione delle strutture cefaliche degli Artropodi e dei Vertebrati. Le rispettive mutazioni producono profonde alterazioni nello sviluppo della testa in entrambi gli organismi. Le funzioni di questi geni sono così conservate che i geni Otx umani possono recuperare gli effetti della mutazione otd nel moscerino; reciprocamente, l’eliminazione di Otx2 nel topo viene compensata dal gene otd di Drosophila. Dunque, geni omologhi sono tra i responsabili della formazione del cervello nella mosca, nel topo e nell’uomo, nonostante le profonde differenze anatomo-funzionali. Anche geni che dirigono lo sviluppo dell’occhio in Vertebrati e invertebrati, come Pax6 nei Mammiferi e l’omologo eyeless/toy in Drosophila, sono estremamente conservati, nonostante le diverse morfologia, struttura, biochimica, origine embrionale dell’occhio dei Vertebrati, rispetto a quello di Drosophila o di altri invertebrati.
Se la conservazione dei sistemi genici di sviluppo riflette un’origine comune dei vari phyla, modificazioni di un progetto di sviluppo inizialmente condiviso possono aver causato profonde transizioni evolutive. Embriologi e anatomisti avevano proposto da lungo tempo che la parte occipitale del cranio fosse inizialmente comparsa negli Gnatostomi grazie alla fusione con il cranio di alcuni abbozzi vertebrali, corrispondenti ai somiti più rostrali. Le modalità genetico-molecolari alla base di questa transizione evolutiva sono rimaste a lungo sconosciute, fino a quando nel 1992 non è stato dimostrato che l’espressione ectopica del gene Hoxd4 nei somiti occipitali dell’embrione di topo, dove questo gene normalmente non è espresso, riporta parte della regione occipitale all’ancestrale morfologia vertebrale. L’interpretazione evolutiva di questo esperimento è che la scomparsa dell’espressione del gene Hoxd4 dai somiti occipitali abbia reso possibile l’assimilazione al cranio degli abbozzi vertebrali più anteriori, generando la regione occipitale. Modificazioni nell’identità e nella morfologia delle vertebre sono presenti anche nei serpenti, in cui le vertebre cervicali hanno assunto la facies tipica di vertebre toraciche e come queste portano coste. In concomitanza con questa variazione, l’espressione dei geni Hoxc6 e Hoxc8 – normalmente confinata alla regione toracica dei Tetrapodi – si estende nello sviluppo dei serpenti anche agli abbozzi vertebrali più anteriori (cervicali), che quindi assumono un’identità toracica. Questo fenomeno rappresenta un vero e proprio esperimento di ‘guadagno di funzione’ dei geni Hox nella zona cervicale, effettuato dalla natura; i risultati di questo ‘esperimento’ sono del tutto coerenti con le trasformazioni delle identità vertebrali ottenute sperimentalmente nel topo con metodi di transgenesi. In conclusione, si pensa che modificazioni dell’espressione dei geni Hox nello sviluppo abbiano mediato importanti cambiamenti nel corso dell’evoluzione.
Anche altre profonde transizioni evolutive, analizzate in passato e fonte di accese controversie, vengono attualmente riconsiderate alla luce dei dati genetico-molecolari della biologia dello sviluppo: ne è un esempio il problema dell’inversione dell’asse dorso-ventrale tra Artropodi e Cordati. Negli Artropodi il cordone nervoso è ventrale, mentre nei Cordati il sistema nervoso è in posizione dorsale; al contrario, l’aorta è dorsale negli Artropodi e ventrale nei Cordati. Su queste basi, Etienne Geoffroy Saint-Hilaire (1822) ipotizzò che i piani strutturali di questi due phyla fossero gli stessi, benché il loro asse dorso-ventrale fosse stato invertito nel corso dell’evoluzione. In anni recenti, questa idea ha ricevuto conferme molecolari dall’analisi della formazione dell’asse dorso-ventrale in Drosophila e nei Vertebrati. Nei due tipi di organismi geni antagonisti, dorsalizzanti e ventralizzanti, interagiscono a definire la polarità dorso-ventrale (in Drosophila, short gastrulation e decapentaplegic; nei Vertebrati, chordin e BMP-4). Ebbene, tali geni sono omologhi e la loro funzione è conservata, ma viene svolta in posizioni invertite rispetto all’asse dorso-ventrale: i geni dorsali nei Cordati hanno un corrispettivo ventrale negli Artropodi e viceversa, in accordo con l’inversione delle strutture anatomiche.
In conclusione, i meccanismi molecolari sottintesi alla formazione del piano corporeo e all’ontogenesi di molti organi sono ampiamente conservati negli organismi più diversi. Inoltre, i dati raccolti dalla evo-devo rivelano che modificazioni della espressione genica nello spazio e/o nel tempo possono generare variazioni di grande rilievo evolutivo.