Il diritto internazionale impone a tutti gli Stati di astenersi dall’esercizio della propria giurisdizione nei confronti degli altri Stati. Tale obbligo, di natura consuetudinaria e connaturato alla struttura paritaria della comunità internazionale, ha subito, nel suo contenuto, notevoli evoluzioni.
Immunità assoluta e immunità relativa. - Fino alla metà del 19° secolo nel diritto internazionale era generalmente riconosciuto che uno Stato estero non potesse essere assoggettato ad atti di autorità da parte di un altro Stato, in ragione dell’assenza di qualsiasi gerarchia tra Stati sovrani (parem in parem non habet iudicium).
Questa regola, della cosiddetta immunità assoluta, è stata revisionata dopo la prima guerra mondiale, parallelamente all’ampliamento dell’attività economica degli Stati, impegnati sempre più di frequente in transazioni di carattere privatistico che nulla avevano in comune con l’esercizio del potere statale, a tutela del quale l’immunità assoluta era stata concepita. Sono state la giurisprudenza italiana e quella belga a dare inizio a un’inversione di tendenza che ha portato all’elaborazione della teoria dell’immunità ristretta, o relativa. Secondo questa teoria, oggi prevalente, l’esenzione degli Stati stranieri dalla giurisdizione è limitata ai soli atti compiuti dallo Stato nell’esercizio delle funzioni pubbliche (atti iure imperii). L’immunità, che può essere sempre oggetto di rinuncia da parte dello Stato straniero, non si estende invece agli atti iure gestionis, cioè compiuti dagli Stati in regime di diritto privato (come l’acquisto di un immobile, o l’emissione di prestiti obbligazionari). Alla stessa distinzione fa capo il regime dell’immunità dei beni di uno Stato estero da azioni esecutive. Rispetto a tali beni, l’esecuzione forzata deve ritenersi ammissibile solo se esperita su beni non destinati a una pubblica funzione. Data la difficile applicabilità ai singoli casi concreti della distinzione tra atti iure imperii e atti iure gestionis, si rimette alla discrezione del giudice interno valutare se, in caso di dubbio, debba concludersi a favore dell’immunità anziché a favore della sottoposizione dello Stato straniero alla giurisdizione. La giurisprudenza interna è incline a individuare la regola nell’immunità e l’eccezione nell’esercizio della giurisdizione. A questa prassi si adeguano anche le convenzioni internazionali adottate in materia, allo scopo di creare una disciplina comune per gli Stati contraenti.
Le convenzioni internazionali in materia. - A parte alcune convenzioni aventi per oggetto settori particolari (come l’immunità delle navi di Stato e delle navi da guerra, o degli aeromobili adibiti a servizi di Stato), il primo strumento internazionale di carattere generale adottato in materia è stata la Convenzione del Consiglio d’Europa sull’immunità degli Stati del 1972, entrata in vigore nel 1976. Ispirandosi alla concezione restrittiva dell’immunità, tale Convenzione stabilisce la regola dell’immunità, indicando in via di eccezione i casi in cui uno Stato non può invocarla. Ciò si verifica quando lo Stato in questione accetta, espressamente o con comportamenti concludenti, la giurisdizione del tribunale di un altro Stato, o in caso di procedimenti relativi a situazioni che si collegano all’attività iure gestionis dello Stato, come controversie in materia di lavoro, contratti commerciali, partecipazione a società o attività industriali, proprietà e altri diritti reali, proprietà intellettuale, riparazione di un danno morale o materiale.
Al livello universale, la Convenzione dell’ONU sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, adottata nel 2004 e non ancora in vigore, segue il modello della Convenzione europea, afferma il principio dell’immunità, con una serie di eccezioni analoghe a quelle sopra indicate.
La deroga in caso di crimini internazionali. - Innovativa è la prassi giurisprudenziale manifestatasi recentemente in diversi paesi – e che in Italia ha avuto origine dalla sentenza della Corte di cassazione n. 5004 del 2004 nel caso Ferrini – tendente ad affermare, in deroga al principio dell’esenzione, la competenza dei tribunali interni a pronunciarsi su reclami presentati contro uno Stato estero dalle vittime di crimini internazionali.