Pittore e architetto (Cortona 1596 - Roma 1669).Con G.L. Bernini e F. Borromini fu fra i massimi protagonisti del barocco a Roma. Ricco d'immaginazione, incastonando le sue scenografiche composizioni entro monumentali cornici di stucco e oro con figure, cartocci e ghirlande, creò un nuovo sontuoso stile decorativo che da Roma s'irradiò per tutta Europa in svariati sviluppi fino oltre la metà del Settecento. Il suo capolavoro pittorico, la decorazione del soffitto del salone di Palazzo Barberini, rivelò una piena e nuova libertà espressiva, che pure accoglie la tradizione veneta e correggesca e che riscosse un successo eccezionale a Roma. Nella nuova chiesa dei SS. Luca e Martina (1635-47) P. offrì una delle prime soluzioni convesse riscontrabili nella Roma del Seicento in una facciata di chiesa, mentre nel rifacimento di S. Maria della Pace (1656-59) costruì uno dei più suggestivi esempi di teatralità dell'architettura barocca. Vita e opere. Studiò a Firenze con A. Commodi, con il quale intorno al 1612 si recò a Roma; qui completò la sua formazione, studiando attentamente Raffaello (una sua copia della Galatea colpì molto Marcello Sacchetti che presto divenne suo protettore) e il ricco materiale antiquario che Roma offriva (ivi impressionato, tra altri, da Polidoro, da Annibale Carracci, dal Rubens e particolarmente dallo stile dominante del Bernini e dotato di genio naturale, acquistò ben presto una maniera particolare larga, sciolta, pronta negli scorci, leggiera e ariosa nel colorito, adatta ai grandi spazi e alle vòlte) e, allo stesso tempo, fu introdotto nel colto ambiente di Cassiano del Pozzo. Un forte senso drammatico, l'amore per i particolari archeologici e la composizione equilibrata che esclude il protagonista unico, caratteristiche già presenti nelle sue prime opere (soprattutto negli affreschi della galleria di palazzo Mattei, 1622-23), appaiono negli affreschi di S. Bibiana (1624-26) come la piena enunciazione di un nuovo stile storico. Per i Sacchetti, insieme ai lavori di restauro e decorazione (1626-29) della villa di Castelfusano (ora Chigi), svolse una serie di soggetti mitologici e di storia antica (come il Ratto delle Sabine, Pinacoteca Capitolina). Dal 1633 al 1639 P. eseguì il suo capolavoro pittorico, la decorazione del soffitto del salone di palazzo Barberini: secondo il programma dettato da F. Bracciolini, una molteplicità di episodi (dal trionfo di Minerva sui giganti, a Ercole che combatte le Arpie, alla fucina di Vulcano) si svolge in una visione unitaria intorno al riquadro centrale con il Trionfo della Divina Provvidenza, in una piena e nuova libertà espressiva, che pure accoglie la tradizione veneta (la particolare visione dal sotto in su) e correggesca. Nel 1637, in un breve soggiorno a Firenze, P. aveva dato inizio in palazzo Pitti, per Ferdinando II, alla decorazione della Sala della Stufa con le Quattro Età. Tornato nel 1640 a Firenze per finire tali affreschi, vi rimase fino al 1647 per eseguire anche la decorazione (partita da esuberanti cornici in stucco) dell'appartamento granducale, secondo il programma elaborato da Francesco Rondinelli (Sale dei Pianeti, delle quali portò a termine solo quelle di Venere, Giove e Marte). Di nuovo a Roma, intraprese la decorazione di S. Maria in Vallicella (1648-65), interrotta dal 1651 al 1654 per dare mano agli affreschi con i fatti di Enea sul soffitto di palazzo Pamphili a piazza Navona, usando in questi un gusto raffinatissimo e una tavolozza trasparente e luminosa. Nell'opera pittorica di P. le architetture dipinte e le elaborate cornici in stucco, illusorie o reali, illuminano il suo interesse per l'architettura, campo nel quale svolse una significativa attività, nonostante i pochi progetti realizzati. La rielaborazione di temi bramanteschi o palladiani, nonché dell'architettura romana che ne fu spesso ispiratrice (in particolare il tempio della Fortuna di Palestrina, di cui P. progettò anche la ricostruzione), emergono nella sua prima opera architettonica importante, la villa del Pigneto, presso Roma, costruita per i Sacchetti prima del 1630 (distrutta ma nota attraverso incisioni). Nel 1634, eletto «principe» dell'Accademia di S. Luca, propose la ricostruzione della chiesa di S. Luca (già presso S. Maria Maggiore e distrutta dai piani urbanistici di Sisto V) sul luogo dell'antica chiesa di S. Martina nel Foro Romano concessa all'Accademia da Sisto V nel 1588. La nuova chiesa dei SS. Luca e Martina (1635-47) rimane l'unico edificio interamente progettato da P. (esterno e interno dove, nel 1669, fu sepolto a lavori pressoché ultimati). Nella chiesa inferiore, originaria, P. realizzò una cupola schiacciata a lacunari sostenuta da colonne angolari; nella chiesa superiore, a croce greca, impostò una vera e propria cupola su pilastri smussati con colonne addossate, complete di trabeazione. A un interno così misurato, strutturato ed equilibrato formalmente fece corrispondere, in un cercato dialogo tra interno ed esterno, i pilastri angolari aggettanti che incorniciano una delle prime soluzioni convesse riscontrabili in una facciata di chiesa, con ordini sovrapposti, nella Roma del Seicento. Per la facciata di S. Maria della Pace (1656-59) adottò la soluzione di un pronao semicircolare, anch'esso convesso, e affiancò alla facciata due corpi laterali concavi, in modo da creare una sorta di quinta capace di conferire vivacità di linee alla intera soluzione formale. La facciata di S. Maria in Via Lata (1658-62), condizionata dall'allineamento stradale, è invece scandita da due ordini di colonnati sovrapposti che sottolineano la profondità di un portico e di un loggiato superiore. All'interno il portico è voltato a lacunari e concluso da due ampie nicchie che sottolineano un asse orizzontale opposto alla verticalità del fronte. Un arco siriaco caratterizza il loggiato del secondo ordine, tradendo evocazioni palladiane. La caratteristica di modulare plasticamente la forma si ritrova anche in interventi vincolati dalla struttura e dalla funzione, per es., nella cupola di S. Carlo al Corso (1688, terminata dopo la sua morte).