In anatomia umana e comparata, termine usato per indicare depressioni, fossette, cavità a fondo cieco o formazioni simili, di natura ossea, connettivale o sierosa che per lo più danno ricetto a piccole formazioni anatomiche generalmente importanti.
Recesso cocleare, recesso ellittico, recesso sferico Piccole depressioni ossee dell’orecchio interno; la prima accoglie l’estremità posteriore del canale cocleare, le altre due sono in rapporto, rispettivamente, con l’otricolo e con il sacculo.
Recessi peritoneali o duodenali (o fossette duodenali) Depressioni a fondo cieco, formate da pieghe del peritoneo nel tratto in cui questo riveste la porzione ascendente del duodeno e l’angolo duodeno-digiunale. Secondo la posizione si distinguono un recesso duodenale inferiore, un recesso duodenale superiore e un recesso duodeno-digiunale. Il primo è situato sulla parte inferiore e laterale della porzione ascendente del duodeno, il secondo sulla porzione supero-laterale dello stesso segmento duodenale e il terzo sul dorso dell’angolo duodeno-digiunale, tra questo e il mesocolon. I recessi sono molto importanti in chirurgia perché possono essere sede di ernie dette retroperitoneali o duodenali.
Atto unilaterale con il quale una parte comunica all’altra la propria volontà di sciogliersi da un vincolo contrattuale. In linea di principio, tale facoltà può essere esercitata fino a quando il contratto non ha ancora avuto un principio di esecuzione (art. 1373 c.c.). Nei contratti a esecuzione periodica o continuata, il recesso può essere esercitato anche successivamente, ma in questo caso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione. Il recesso costituisce esercizio di un diritto potestativo (diritto di recesso) attribuito dalla legge (per es., per i contratti e per le proposte contrattuali a distanza ovvero negoziati fuori dai locali commerciali, il consumatore ha diritto di recesso senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo: art. 64 c. cons.) o dal contratto e ha carattere eccezionale, in quanto rappresenta una deroga al principio per cui il contratto si scioglie per mutuo consenso. Normalmente, il recesso ha efficacia solo dopo il decorso di un periodo di tempo (preavviso), la cui mancanza, però, non importa l’inefficacia del recesso ma obbliga solo al risarcimento dei danni. Il contratto o la legge possono talora stabilire che il recesso sia esercitato solo quando vi sia una giusta causa, consentendosi in questa ipotesi anche la risoluzione senza preavviso (recesso in tronco). La clausola che consente al professionista di recedere da contratti a tempo indeterminato senza giusta causa si presume vessatoria fino a prova contraria (codice del consumo, art. 33, lett. h). Le parti possono anche subordinare l’esercizio del recesso al pagamento di un corrispettivo (per es., caparra confirmatoria, art. 1385 c.c.).
Il contratto nel quale il recesso ha maggiori applicazioni è il contratto di lavoro a tempo indeterminato, nel quale il recesso del datore di lavoro prende il nome di licenziamento e quello del lavoratore di dimissioni. Il recesso è comunque previsto in tutti i contratti di durata senza prefissione di un termine, nei quali la possibilità di recedere rappresenta un necessario temperamento alla mancanza di una scadenza convenzionale.