In geologia, ipotesi proposta per spiegare certi risultati gravimetrici e precisamente il fatto che le anomalie della gravità e le deviazioni della verticale in prossimità di rilievi montuosi e nelle zone oceaniche non sono di quella entità che ci si attenderebbe per la presenza di masse rilevate così cospicue o, inversamente, per la mancanza di un notevole spessore di crosta solida. Per dar conto di ciò occorre ammettere (ipotesi isostatica) che l’eccesso di massa in superficie costituito dalle montagne sia compensato da sottostanti materiali di minore densità, e, inversamente, che il deficit di massa in superficie nelle zone oceaniche sia compensato da sottostanti materiali più densi: in tal modo (ed è ciò che giustifica il termine i.) a una certa profondità la pressione esercitata sui sottostanti materiali da tutte le ‘colonne’ aventi uguale sezione sarebbe la medesima, indipendentemente dal fatto che ogni singola ‘colonna’ termini, in superficie, con un rilievo montuoso oppure con una depressione oceanica. Se accade ciò, si dice che la compensazione isostatica è esatta o che si è in condizioni di equilibrio isostatico; si parla invece di ipercompensazione oppure di sottocompensazione a seconda che la densità dei materiali ‘compensatori’ sia maggiore oppure minore del dovuto. In effetti, esistono varie zone della Terra in cui non si ha un’esatta compensazione isostatica: per es., la regione indiana presenta delle anomalie della gravità che fanno pensare a una ipercompensazione, mentre l’isola di Cipro rappresenta una zona insufficientemente compensata. L’ipotesi isostatica ha dato luogo alle formulazioni di varie teorie isostatiche.
Già Leonardo da Vinci aveva osservato che le montagne ‘attiravano’ il filo a piombo meno di quanto avrebbero dovuto; le sue osservazioni furono riprese, circa tre secoli dopo, con ben altra ampiezza e con grande rigore, da P. Bouguer, il quale, durante la grande spedizione per la misurazione del grado di meridiano nel Perù (1736), provò che l’attrazione esercitata dalla massa delle Ande era decisamente inferiore al previsto. Fu però soltanto nel 1855 che fu introdotto il concetto di compensazione isostatica, a opera di G.B. Airy e J.H. Pratt, nel corso di loro ricerche gravimetriche nel Tibet. D’accordo nel ritenere che esistesse una compensazione di massa nella crosta terrestre, i due studiosi non convennero però sul meccanismo di tale compensazione, dando così vita a due diverse teorie isostatiche.
Secondo la teoria di Airy (1855), alla quale fu data rigorosa veste matematica da W.A. Heiskanen (1930), la crosta terrestre sarebbe costituita da blocchi rigidi, aventi uguale densità, galleggianti su un substrato più denso (nella forma attuale di tale teoria, la densità della crosta ρc viene assunta pari a 2,67 e quella del substrato ρs pari a 3,27 g/cm3); i blocchi affonderebbero tanto più nel substrato quanto maggiore è la loro altezza, così che lo spessore della crosta risulterebbe relativamente grande nelle zone montuose e relativamente piccolo nelle zone oceaniche. Se, come implicitamente la teoria postula, la compensazione è esatta, a una certa profondità, la pressione sul substrato dovrebbe avere ovunque lo stesso valore.
Nella teoria di Pratt (1858), matematicamente sviluppata da J.F. Hayford (1909), la crosta è ancora costituita da blocchi rigidi galleggianti su un substrato più denso, ma essi avrebbero densità diversa, immergendosi quindi tanto più nel substrato quanto più grande è la densità; ciò significa, in particolare, che la densità ρ1 di un blocco ‘montuoso’ sarebbe minore di quella, ρ2, di un blocco ‘marino’.