SME Sigla di Sistema Monetario Europeo, entrato in vigore il 13 marzo 1979 e costituito dai paesi membri dell’allora Comunità Europea. Nacque sotto il forte impulso politico dato dal presidente francese V. Giscard d’Estaing e dal cancelliere tedesco H. Schmidt, con l’obiettivo di creare in Europa una ‘zona di stabilità monetaria’ in un contesto, come quello degli anni 1970, caratterizzato da elevata inflazione e instabilità dei cambi. Con l’inizio della terza fase del processo di creazione dell’Unione economica e monetaria, cessò di esistere il 31 dicembre 1998.
L’elemento centrale dello SME era costituito dagli Accordi Europei di Cambio (AEC), i quali – sottoscritti da Germania, Francia, Gran Bretagna (dal 1990 al 1992), Italia (con un intervallo fra 1992 e 1996), Spagna (dal 1989), Paesi Bassi, Belgio, Danimarca, Portogallo (dal 1992), Irlanda, Lussemburgo, Austria (dal 1995) e Finlandia (dal 1996) – prevedevano la fissazione di una parità centrale per i cambi bilaterali dei paesi membri (griglia di parità): se il cambio raggiungeva i margini della banda, le banche centrali dei paesi interessati erano obbligate a intervenire acquistando o vendendo valuta (interventi marginali). Gli AEC prevedevano inoltre la possibilità di modifiche delle parità centrali (riallineamenti) da parte del Consiglio dei ministri finanziari delle Comunità europee nel caso di andamenti fortemente divergenti delle economie. Di questa facoltà fu fatto uso frequente dal 1979 al 1987 e soprattutto dal 1979 al 1983, mentre dal riallineamento del 1987 fino al 1992 le parità centrali rimasero stabili, tranne che per la lira. Un secondo elemento importante dello SME era rappresentato dall’ECU (➔), il quale, nelle intenzioni originarie, avrebbe dovuto costituire l’indicatore di divergenza, nonché l’unità di conto e lo strumento di regolazione delle posizioni debitorie tra le banche centrali all’interno dello SME. L’ECU, tuttavia, non ha mai svolto la funzione di indicatore di divergenza ed è stato utilizzato principalmente come unità di conto. Un ulteriore pilastro dello SME era costituito dalle facilitazioni creditizie a brevissimo, breve e medio termine. Un quarto elemento chiave era la centralizzazione, presso il FECoM (Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria), del 20% delle riserve auree e del 20% delle riserve in dollari detenute da ciascuna banca centrale in cambio della creazione di conti in ECU (ECU ufficiali). La centralizzazione delle riserve rispondeva all’obiettivo della creazione di una banca centrale europea, abbandonato ma poi ripreso con il rapporto Delors del 1989, nel quale si sono stabilite le fasi fondamentali per il raggiungimento di una Unione Monetaria Europea (UME), in seguito codificate con la conferenza intergovernativa di Maastricht del 1992 (Trattato di Maastricht).
La prima fase, terminata alla fine del 1993, prevedeva il rafforzamento dello SME attraverso un maggiore coordinamento delle politiche monetarie, la partecipazione di tutte le monete agli AEC e l’ulteriore liberalizzazione dei movimenti di capitale. Con la seconda fase, avviata nel 1994, fu costituito l’Istituto Monetario Europeo (IME), con sede a Francoforte, con il compito di accentuare il coordinamento volontario delle politiche monetarie (che rimanevano ancora sotto la responsabilità dei singoli paesi), di preparare la fase finale dell’UME e di assumere le funzioni svolte dal FECoM. La terza fase segnò l’inizio della vera e propria unione monetaria, con l’istituzione di un Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC), composto dalla Banca Centrale Europea (BCE) e dalle preesistenti banche centrali nazionali, responsabile della politica monetaria, e con l’introduzione della moneta unica in sostituzione delle valute nazionali. L’accesso alla terza fase però fu subordinato, dal Trattato di Maastricht, a criteri di convergenza sulle variabili economiche chiave per la stabilità monetaria e finanziaria, quali tasso di inflazione, tassi di interesse monetari, deficit delle pubbliche amministrazione e stock del debito (➔ Unione Europea).
L’UME, così come prevista nel Trattato di Maastricht, fu messa in dubbio da una serie di eventi a partire dal 1990: la riunificazione delle due Germanie, con il conseguente sforzo economico della ex Germania Ovest, riflessosi in una crescita del disavanzo e dell’inflazione; le politiche monetarie restrittive da parte della Bundesbank anche in anni di recessione come il 1992 e il 1993; la grave crisi dei cambi all’interno dello SME tra il 1992 e il 1993. Nonostante altalenanti consensi politici e popolari, la terza fase dell’Unione Monetaria Europea e il definitivo abbandono dello SME proseguirono e dal 1999 l’euro è entrato in vigore, prima sui mercati finanziari, poi, dal 1° gennaio 2002, come valuta comune degli Stati aderenti all’UME.