Nome dell’unità monetaria italiana fino al 1° gennaio 1999, data in cui è entrato in vigore l’euro (➔). La transazione dalla l. all’euro si è svolta gradatamente nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1999 e il 1° marzo 2002.
L. è anche il nome dell’unità monetaria di Cipro (l. cipriota, anche detta sterlina cipriota), del Libano (l. libanese), di Malta (l. maltese), della Siria (l. siriana), della Turchia (nuova l. turca, dal 1° gennaio 2005).
Anticamente l. (fr. livre) fu sinonimo generico di moneta. In origine, il significato della parola non era diverso da libbra e in alcune città indicò, perciò, anche l’imposta sull’estimo e a Siena il registro dell’estimo. La fortuna monetaria del termine ebbe inizio dalla libbra ponderale d’argento, base del sistema monetario carolingio. Nel Medioevo rimase per molti secoli moneta di conto, per l. intendendosi, di solito, la l. di denari piccoli (del valore di 20 soldi, ognuno di 12 denari piccoli), mentre per gli affari di maggiore importanza si usava la l. di grossi (del valore di 240 soldi); ebbe varietà di designazioni, come l. imperiale (di 240 denari imperiali), l. marchesana (di 124 denari marchesini), l. terzola (di 240 denari terzaroli), e in Francia l. parigina (livre parisis) del valore superiore di 1/4 alla l. tornese (livre tournois, di 20 soldi tornesi); e a queste si aggiunsero poi altre l. di conto, indicate secondo il modo di calcolare le valute nelle partite di conteggio, come l. a oro, l. di banco, veneziana o degli imprestiti, del valore di 10 ducati, genovese ecc.
Nella seconda metà del 15° sec. l’aumentato valore dell’argento richiese la coniazione di pezzi maggiori, per dimensioni e massa, di quelli allora in corso e quindi anche dell’unità monetaria; la l. come tale divenne perciò moneta reale, anch’essa con gran varietà di denominazioni secondo i luoghi di emissione, l’autorità emittente, i tipi ecc., con continue variazioni nella massa e nel rapporto con l’oro. Si ebbero così la l. veneta (1472, detta anche, dai nomi dei dogi, trono e mocenigo), milanese (1474, di Galeazzo Maria Sforza), di Genova (1498), toscana (1539, di Cosimo I), di Savoia (1561, di Emanuele Filiberto), anselmina (dei Gonzaga, duchi di Mantova), di Modena (1611) e di Bologna (1655), da 20 bolognini, ducale (1631, di Vittorio Amedeo I, duca di Savoia) ecc. Nella Repubblica italiana e poi nel Regno d’Italia napoleonico, con l’adozione del sistema decimale, si conservò il nome di l. per il pezzo d’argento della massa di 5 g al titolo di 900 millesimi.
Nel 19° sec. nei vari Stati italiani si ebbero la l. del Regno di Sardegna (equivalente a 1,00 l. oro), l’austriaca o svanzica (0,83-0,86), di Parma (1,00), di Modena (0,38), di Lucca (0,97), la toscana (0,82-0,84), la papale (1,10, dal 1866). Nel 1862 la l. divenne l’unità monetaria del Regno d’Italia; furono coniate monete d’argento da 1/2 l., da 1 e da 2 l. (al titolo di 835 millesimi), da 5 l. (o scudo, al titolo di 900 millesimi); e d’oro, da 20, 50 e 100 l. (al titolo di 900 millesimi); poi monete d’argento da 10 e 20 l.; dopo la Prima guerra mondiale si ebbero monete fiduciarie da 1 e 2 l. di nichel, da 5, 10 e 20 l. d’argento. Dopo la Seconda guerra mondiale, essendo la l. rimasta come unità monetaria anche della Repubblica Italiana, si sono avute monete fiduciarie di leghe metalliche (acmonital, italma, cuproxil) da 1, 2, 5, 10, 20, 50, 100 ecc. l. e d’argento da 500 l. (e da 1000 l. in occasione dell’anniversario di Roma capitale, nel 1970).
Prima del 1914 la l. aveva un contenuto aureo di 0,29983954 g di fino; dopo la Prima guerra mondiale e l’inflazione, fu riancorata all’oro con la riforma monetaria del 21 dicembre 1927 (la relativa manovra di rivalutazione e stabilizzazione fu detta battaglia della l.) che ripristinò la convertibilità dei biglietti, sospesa dall’inizio delle ostilità, ma riconobbe l’avvenuta svalutazione degli stessi, fissando la nuova parità aurea in 0,07919113 g e quindi a 3,66 il rapporto della nuova l. con la lira-oro prebellica; l’allineamento monetario del 1936 ridusse poi ulteriormente il contenuto di oro della l. portandolo a 0,04677 g.
Sospesa di nuovo la convertibilità per effetto della Seconda guerra mondiale, la lira-carta (cioè sganciata dall’oro) andò sempre più svalutandosi di fronte sia all’oro e alle valute estere sia alle merci, soprattutto nell’immediato dopoguerra. Poi lo slittamento della l. si attenuò e i tassi ufficiali di cambio nel 1950-71 si mantennero sempre all’incirca sulla base di 625 l. per 1 dollaro USA (il 30 marzo 1960 la nuova parità aurea di 0,00142187 g di fino fu comunicata all’FMI). Dopo gli accordi di Washington (dicembre 1971) il rapporto era di 581,50 l. per 1 dollaro USA (parità aurea ufficiosa 0,0014077 g di fino).
Nell’agosto 1971, contestualmente alla dichiarazione della inconvertibilità del dollaro in oro, la l. abbandonò la sua parità ufficiale con il dollaro. L’avvento di un regime di fluttuazione dei cambi sollecitò tuttavia i paesi membri della CEE a mantenere un’area di stabilità valutaria decidendo (aprile 1972) l’adozione di una fascia comunitaria di oscillazione, valida per le valute della Comunità, non superiore a ±2,25%. Nel 1972, in seguito a ingenti deflussi netti di capitali, furono approntati interventi quali l’inconvertibilità delle banconote italiane, provvedimento che fece sorgere in vari paesi il cosiddetto mercato parallelo della l.; le forti pressioni che investirono la l. in quel periodo resero troppo rigidi gli accordi comunitari e la spinsero a uscire dalla fascia di oscillazione (febbraio 1973). Da allora fino all’inizio del 1979 la l. fluttuò liberamente, e gli interventi della Banca centrale, non essendo più obbligatori, diventarono uno strumento strettamente di politica economica. In particolare, tali interventi miravano a stabilizzare il tasso di cambio effettivo, intorno a un valore che rendesse competitive le nostre esportazioni sui mercati mondiali.
Nel marzo 1979 la l. entrò nel nuovo Sistema Monetario Europeo (➔ SME) con un margine di oscillazione, rispetto alla parità dichiarata con le valute CEE, del ±6%. Con la progressiva integrazione monetaria europea vi furono ulteriori modifiche. Nel gennaio 1990 entrò nella ‘banda stretta’ (± 2,25% rispetto alla parità) dello SME, ma nel settembre 1992, a causa di forti pressioni speculative sul mercato dei cambi, uscì temporaneamente dal sistema e riprese a fluttuare liberamente rispetto alle valute dei paesi della CEE. Quando nel novembre 1996 rientrò nello SME, la nuova parità centrale fu stabilita a l. 990 per marco. Da allora la l. si mantenne stabile nei confronti delle altre valute SME. Nella seconda metà degli anni 1990 l’opera di riduzione del disavanzo pubblico, le privatizzazioni nel settore reale e finanziario, e le politiche fiscali e monetarie fortemente restrittive consentirono all’Italia di rispettare i parametri di Maastricht e alla l. di entrare a far parte del gruppo di monete confluite nell’euro.